venerdì 30 dicembre 2016

L'europeismo zoppo dei tedeschi.

La Germania ha da tempo bloccato il terzo pilastro dell Banking Union. Ovvero lo schema di assicurazione comune dei depositi EDIS (European Deposit Insurance Scheme​).

Il Governo non è lasciato solo. Qualche giorno fa è apparso questo documento nel quale la businnes community tedesca si schiera a fianco del Governo.

Molto semplicemente, e come sappiamo, i tedeschi sono contrari alla proposta della Commissione, perché non possono accettare di partecipare a un sistema di garanzia comune, che, secondo loro, genererebbe solo sfiducia nel sistema e, di conseguenza, instabilità.

La posizione del documento non è molto innovativa: banche e risparmiatori tedeschi si sentirebbero defraudati dal fatto che le loro risorse possano contribuire al salvataggio di banche e risparmiatori stranieri. Ognuno deve essere responsabile per le sue banche e per la sicurezza del suo sistema. 

Forse vale la pena di ricordare ai nostri vicini cosa dice il trattato che hanno firmato 60 anni or sono. 

La Comunità ha il compito di promuovere nell’insieme della Comunità, mediante l’instaurazione di un mercato comune e di un’unione economica e monetaria e mediante l’attuazione delle politiche e delle azioni comuni di cui agli articoli 3 e 4, uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attivit economiche, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un elevato grado di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione dell’ambiente e il miglioramento di quest’ultimo, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri.

Non dico altro. Sono orgoglioso di vivere in quest'Europa. Lavoreremo per renderla migliore. 





mercoledì 21 dicembre 2016

Caro Presidente Gentiloni. Lettera aperta al premier.


Caro Presidente del Consiglio, Le segnalo questo contributo di Paolo Gerbaudo http://www.eunews.it/2016/12/16/lo-spettro-del-populismo/74417.

Le anticipo la conclusione perché ha poco tempo per leggerlo tutto. “L’atteggiamento di rifiuto verso il populismo manifestato da diversi intellettuali progressisti non è sufficiente. Al contrario è necessario comprendere che solo costruendo un populismo progressista si può sperare di incanalare in senso emancipatorio il collasso dell’ordine neoliberale.”

Concordo con Gerbaudo perché per rispondere ai movimenti populisti, che fanno leva sulla pancia della gente, che criticano il sistema senza avere un vero programma di cambiamento, non basta il rifiuto o, peggio, la negazione di quanto sta accadendo. Non bisogna arroccarsi e dichiarare che il declino del sistema politico istituzionale sta portando a tutto questo.

I cittadini europei hanno bisogno di risposte per la sicurezza e il lavoro. Gli stessi motivi per i quali 60 anni fa si partì con i Trattati di Roma ed ancor prima con la CECA.

La risposta al populismo non è questione di destra o di sinistra. E’ questione di mettere al centro del dibattito politico le questioni vere dei cittadini; non servono baruffe. Servono risposte ai problemi. Per questo credo ed ho sostenuto in questo blog (Vedi qui) che il suo governo non può limitarsi alle emergenze, ma deve lavorare per migliorare questo Paese.  

E’ uscito di recente un ulteriore analisi di cosa non va in Italia e quale potrebbe essere il vero ruolo del nostro Paese in Europa (http://www.cer.org.uk/sites/default/files/pb_italy_FG_CO_20dec16.pdf) a cura di Ferdinando Giugliano e Christina Odendahl. Ma anche di cosa l’Europa ha bisogno.

Siamo orami in grado di smetterla di fare buone analisi e di elaborare ottime soluzioni?




sabato 10 dicembre 2016

Le tre parole chiave del prossimo programma di governo

Oggi si concludono le consultazioni al Quirinale e forse domani, dopo una dovuta pausa di riflessione, il Presidente della Repubblica conferirà l'incarico di Presidente del Consiglio

Le tre parole chiave dell'esecutivo devono essere: Economia, Economia, Economia. Soltanto riprendendo la crescita economica, infatti, possiamo dare risposta alle disuguaglianze che si sono create in 8 anni di crisi. La coesione sociale si nutre di una crescita che crea posti di lavoro, che genera risorse per politiche di inclusione sociale, che mette in sicurezza le imprese e le rafforza da un punto di vista patrimoniale. Non sarà facile, ma non è impossibile. Vediamo le mie proposte.

A. Economia.
La mia prima proposta è che il Governo, invece di utilizzare la Cassa Depositi e Prestiti su tutti i fronti di crisi, la utilizzi per la crescita economica. In particolare per:
  1. La progettazione ed il finanziamento delle ultime infrastrutture necessarie al Paese, in collaborazione con Ferrovie dello Stato e ANAS. Serve collegare i porti con le ferrovie, dopo aver scelto su cosa specializzare i diversi porti italiani per evitare di farci concorrenza tra di noi e non essere in grado di concorrere con i porti esteri. E' necessario terminare, entro l'anno, i collegamenti in banda larga su tutto il territorio nazionale. Occorre finanziare l'acquisto di nuovi  mezzi di trasporto su gomma (lo Stato e le Regioni pagheranno con contributi pluriennali.
  2. Il finanziamento della piccola e media impresa, fruttando in modo più profondo il Piano Juncker, per sostenere le imprese che innovano il processo ed il prodotto e quelle che si propongono di entrare nella manifattura 4.0. Non solo debito, ma anche capitale di rischio. 
  3. L'elaborazione ed il finanziamento di un grande piano per il turismo sostenibile nelle regioni del sud d'Italia.
B. Economia
La mossa però più necessaria è la riforma fiscale. Ridurre IRPEF e IRES si può e forse meglio avrebbe fatto il governo uscente a utilizzare le risorse spese per finanziare gli 80 euro e il job act per ridurre permanentemente il carico fiscale dell'economia. Occorre, poi, portare a conclusione la riforma di Equitalia e dell'Agenzia delle Entrate seguendo un principio: il 90% delle risorse umane devono essere a lavoro per aiutare i contribuenti e il 10% ai controlli. Le risorse arriveranno dall'aumento dell'IVA.   

C. Economia
L'economia ha bisogno di processi decisionali più celeri. Nella crisi del 1929, il tracollo dell'economia USA raggiunse l'Europa dopo circa 12 mesi. Oggi i fenomeni economici si trasmettono in 12 secondi. Il Parlamento si deve impegnare non solo nella legge elettorale, ma nel rivedere i propri regolamenti per assicurare un iter normativo che si deve chiudere in massimo 45 giorni. Le norme in campo economico devo essere per lo più di applicazione automatica e la dove non è possibile, occorre che i vari organi dello Stato - inclusa la Corte dei Conti e il Consiglio di Stato - collaborino ex ante e non facciano la caccia alle streghe ex post.

Ce la possono fare i nostri politici o penseranno solo a come modificare la legge elettorale? 

giovedì 8 dicembre 2016

L'importanza della legge elettorale

In molti si sono esercitati nell'esegesi del significato del voto di domenica scorsa. In molti tendono a ritenere che il voto sia stato politico e non tecnico, ovvero sulla materia posta a consultazione. 

Prevale, cioè, la tesi che si sia trattato di un voto di protesta contro l'esecutivo, per non aver saputo o voluto dare le risposte alle esigenze del Paese.

Io tendo a pensare che il voto sia stato sulla riforma. Il Paese ha paura di cambiare e lo ha detto con un secco NO alla riforma; esistono forti constituencies contro il cambiamento- Lo status quo sta bene a molti: ai senatori, alle Regioni, alla burocrazia generata dalla confusione di attribuzione dei poteri tra Stati ed Enti Locali e a chi lavora grazie alla a questa inefficacia. E l'elenco non finisce qui. 

Occorre ricordare che la riforma era stata mal digerita dal Parlamento ed il Parlamento altro non è che lo specchio della nostra società. Questo Parlamento e questo sistema politico, incluso il M5S, avevano la necessità che la riforma non passasse. 

Perché quando hanno voluto far passare la riforma costituzionale del 2001 i nostri partiti non solo l'hanno votata con i propri rappresentati in aula, ma hanno fatto in modo che anche la consultazione popolare avesse esito positivo. Per ricordare, con quella riforma e' stato modificato il titolo V della parte seconda della costituzione italiana (ossia la parte dedicata a comuni, province e regioni; vedi qui il dossier del Senato che spiega i cambiamenti operati). Vi faccio notare che i votanti alla consultazione popolare nel 2001 furono solo il 34,10% degli aventi diritto, di cui il 64,20% votò SI alla riforma costituzionale. 

Da non dimenticare - anzi da tenere a mente - che la discussione sulla riforma costituzionale del 2001 nasce il 30 giugno 1997. In aula sbarca, per iniziare il suo iter, il 26 gennaio 1998. La riforma viene approvata dal Parlamento l'8 marzo 2001. Quindi la riforma passa attraverso due diverse maggioranze parlamentari; il 30 maggio 2001 nasce infatti la XIV Legislatura della Repubblica Italiana, a maggioranza centro destra; quella precedente era a maggioranza centro sinistra.

Capito cosa consentì il passaggio di quella riforma e chi ne sono i padri? (vi aiuto: gli stessi che oggi hanno supportato il NO). Capite che passò una riforma per uno (strano) allineamento di interessi di due schieramenti politici che si "confrontavano" in quegli anni? Allineamento che oggi evidentemente non c'era e che forse ci sarà per modificare la legge elettorale. 

Perché ci sarà questo allineamento sulla legge elettorale? La nostra è, e resta, una Repubblica parlamentare nel quale il Presidente della Repubblica incarica una persona che ritiene in grado - dopo aver consultato i rappresentanti del popolo - di delineare un programma che viene presentato in Parlamento per ottenere la fiducia, ovvero la maggioranza dei voti in Senato ed alla Camera. 

Non esiste quindi un Governo tecnico, se non nella dialettica dei politici che hanno convenienza a scaricare scelte difficili o impopolari su persone non direttamente legate ai partiti, ma che si sono distinte per le loro capacità tecniche appunto.Vedi qui per trovare qualche curiosità sui cosi detti esecutivi tecnici; cosi detti perché le maggioranze che li sostengono sono politiche.  E le convenienze a sostenerli pure. 

Quindi cari cittadini, occhi aperti sulla riforma elettorale. Perché da essa dipende il futuro del nostro Paese. 

domenica 27 novembre 2016

Alla ricerca di Alibi

L'Italia spesso è alla ricerca di alibi per fare o non fare le cose. Era così che giustificava la sua politica estera, che veniva definita "dei giri di Walzer" per la capacità di cambiare - con una giravolta - partner senza mai perdere di vista l'ultimo ballerino al quale ci si era accompagnati.

Nonostante questa attitudine, quello che stiamo vivendo in questi mesi in Italia è impressionante. Abbiamo perso l'identità democratica che ci ha portato ad un livello di benessere, ma anche di debito, che oggi non riusciamo a condividere con chi ne ha bisogno. Il livello di individualismo è così alto che il motto che vedo oggi meglio rispecchiare la nostra società è "mors tua, vita mea".

La nostra vittoria è il fallimento, completo, della controparte. Così l'Europa. Così i migranti. Così i senza lavoro. 

L'Italia è devastata da un terremoto fisico, politico e morale. È alla ricerca di una nuova identità politica, che fatica a venire a galla soffocata com'è da slogan, polemiche e invettive. È alla ricerca di nuove allenze, non avendo mai voluto consolidarne una. 

È a galla grazie alla protezione europea, ma questo nessuno lo vuole ammettere. Giochiamo una partita di serie A con una squadra non adatta, che per vincere avrebbe bisogno di maggiore unità ed invece gioca un tutto contro tutti. 

La battaglia che è in atto determinerà il futuro delle prossime generazioni. Dei nostri figli.

Io non mi darò per vinto. Spero tanti Italiani riprendano in mano la vita sociale e politica del Paese, contribuendo con opinioni e idee allo sviluppo sociale. 


mercoledì 23 novembre 2016

Avanti con la banking union!

Avanti con la banking union! Finalmente!

E questo quello che ho pensato quando ieri la commissione europea ha approvato la proposta di direttiva, che oggi molti giornali riportano sulla prima pagina. 

Da una prima velocissima analisi c'è da dire che effettivamente ci sono elementi molto importanti e che vanno  nella direzione auspicata dagli italiani. Si tratta del fattore di correzione per i prestiti alle piccole e medie imprese,  una diversa ponderazione dei prestiti per la realizzazione delle infrastrutture, che in Italia sono legate molto ai prestiti bancari, di un primo tentativo di armonizzare le regole del fallimento in Europa. 

Un primo passo. Ma per un rilancio dell'economia occorre superare il bancocentrismo europeo, sviluppare il mercato dei capitali, e sopratutto consentire politiche pubbliche di supporto alle PMI.


domenica 6 novembre 2016

Sì o No. Il referendum è solo una scusa per non fare politica.

Il referendum potrebbe essere l'ennesima prova di immaturità politica del cittadino italiano. E ovviamente dei partiti e dei movimenti politici italiani. 

Oggi ho chiesto a molte persone se andranno a votare. Quasi tutti hanno detto "sì". Non volevo sapere cosa avrebbero votato, ma la discussione si è subito aperta; e non sulla bontà della riforma costituzionale, ma sul governo. Il fatto è che, secondo questa piccola audience che ho intervistato stamane, il governo ha fallito nel risolvere la situazione. I temi a supporto di questa tesi sono stati: "ora il medico di famiglia non ti scrive neppure più le visite"; "l'immondizia per le strade cresce"; "siamo pieni di immigrati che vivono alle nostre spalle, tutto gratis e mio figlio non ha neppure un lavoro". 

Vi risparmio le frasi più crude, ma è evidente che nel voto del 4 dicembre sarà determinante - come sempre nelle elezioni - la pancia della gente, piuttosto che il sentimento e la ragione. Così la politica ci ha abituato. 

Questo lo sa anche Renzi, che ha cambiato il suo modo di approcciare la campagna referendaria. Ma contro la pancia della gente, le parole non bastano. Neanche le grida e le frasi strafottenti verso l'Europa possono servire. 

Occorre tornare alla politica. Quella che media le posizioni per realizzare il bene comune. Della necessità della politica, se ne accorgono tutti, anche il MS5, oggi di fronte alla sfida di governare; una volta chiamati ad amministrare, occorre contemperare esigenze diverse, che in campagna elettorale si uniscono nella protesta e quindi è facile coalizzare contro chi, in quel momento, sta governando. Facendo leva sull'insoddisfazione, si vincono le elezioni, ma non si governa. L'altro modo di vincere le elezioni è vendendo sogni, ma quando si governa la realtà mette a nudo la leggerezza con cui alcune affermazioni sono state fatte durante la campagna elettorale. 

Il Paese è stanco. Si attacca ancora ai sogni ed alla speranza. Al sogno di avere una classe politica in grado di governare, nella speranza di avere un futuro migliore. Non vedo consapevolezza nella classe politica dello stato del Paese. Troppa frammentazione nei partiti e poca voglia di fare scelte, sopratutto di metter da parte personalismi, per dare un futuro al nostro Paese. 

lunedì 17 ottobre 2016

La Yellen chiama, l'Europa risponde?


Vi segnalo le interessanti le dichiarazioni della Yellen in un suo discorso “Macroeconomics research after the crisis” di venerdì scorso. Chi lo volesse leggere lo trova qui.

Il discorso di Yellen sembra essere chiaro nel sostenere che occorre lasciare che l’economia Americana si "surriscaldi" in modo da favorire la correzione di una parte dei danni lasciati dalla ultima grande recessione (quella iniziata nel 2008). 

A farmi dire questo sono diversi passaggi del discorso. Ad esempio li dove la Yellen dice che "reversing long-term damage may require more accomodative policy than otherwise" e soprattutto quello in cui vengono decantati i benefici di lasciare che la Fed amministri una "high-pressure economy". 

Non sono i correttivi, del tipo "an accomodative monetary stance, if maintained too long, could have costs that exceed the benefits" a farmi pensare diversamente.

Sicuramente la Fed, tramite il suo Presidente ci sta indicando che le cose sono ancora molto lontane dall'essere tornate "gestibili" con i normali attrezzi di lavoro. 

Se la burocrazia europea stesse a sentire, forse passerebbe da una austerità a tutti i costi ad un politica di investimenti e sviluppo concordata tra i diversi Paesi. 

domenica 16 ottobre 2016

Una manovra per l'Italia 33 slide, 4 commenti

In molti hanno liquidato la manovra annunciata sabato scorso dal Governo Renzi come pre elettorale, tesa ad aumentare le possibilità che il SI prevalga al referendum. 

Oggi possiamo solo commentare 33 slide presentate dal Presidente del Consiglio. Dato che i dettagli sono importanti, sarebbe meglio non azzardare commenti sulle singole misure. Meglio pensare all'impostazione generale della manovra. 

1. In parte la manovra è finanziata in deficit, come le precedenti due manovre. L'effetto sul PIL è quello certificato da ISTAT per il 2014 e 2015. Lieve crescita, ad un tasso non diverso da quello pre-2008. Forse ha ragione chi dice che l'austerità a tutti i costi non fa sempre bene 
2. Si registra una forte spinta sugli Investimenti, pubblici e privati. Spero di vedere cantieri utili aperti per migliorare le infrastrutture urbane e investimenti privati all'insegna di una maggiore competitività 
3. Per una volta si incita il settore privato a fare la sua parte: non può sempre vivere col sostegno dei soldi pubblici. Se il sistema economico non accetta la sfida, il Paese è finito 

Ci sono molti lati oscuri ancora, da scoprire dietro gli annunci. Aspettiamo di vedere la legge di bilancio per commentare. 

Una sola ultima nota: la sbandierata una riforma del sistema di riscossione a favore del cittadino. L'unica cosa che i governi non fanno mai, è premiare chi le tasse le ha sempre pagate. Mi piacerebbe vedere una volta tanto una riduzione selettiva delle tasse a favore del contribuente fedele. 


martedì 11 ottobre 2016

Il tallone di Matteo. La crescita economica.

In Italia il tema della crescita economica é da tempo sopito. 
Le varie emergenze, molte tragiche come il terremoto, la disoccupazione giovanile, il referendum costituzionale, tolgono tempo ad una sana ed approfondita discussione che dia una risposta a questa domanda: perché l'Italia non cresce?

Scrive Paolo Baroni a pagina 7 de La Stampa ieri che ora tutte le attenzioni sono concentrate su due numeri, il livello di deficit per il 2017 e la crescita del Pil. Nessuno parla invece del debito, il nostro vero punto debole. L'ultima nota di variazione del Def ha confermato il percorso di discesa del debito ormai disatteso da anni. Si passa  dal 132,8% di quest'anno (in aumento dal 132,3% del 2015) al 132,5% del 2017 per arrivare poi nel 2019 sotto quota 130.

Il giornalista ricorda che dalle privatizzazioni molto difficilmente arriverà l'aiuto che ci si aspetta. Già quest'anno il governo  non raggiungerà l'obiettivo: aveva messo in conto di incassare lo 0,5% del Pil, all'incirca 8 miliardi, ed invece si è fermato allo 0,1% tra i soldi incassati con l'Enav (834 milioni) ed i proventi delle vendita di alcuni immobili. 

Anche lui si aspetta che il debito scenda per effetto delle privatizzazioni, mentre dovremmo iniziare a parlare di come tornare a crescere. Investimenti pubblici, ma anche privati, e PMI. Magari con un ministro ad hoc che ne curi gli interessi! 

sabato 8 ottobre 2016

Italia cambia! Serve il Ministro per la crescita della PMI.

Cosa è accaduto al nostro sistema produttivo? Esso ha subito diversi shock, che hanno origine principalmente nella globalizzazione (i.e. Maggiore concorrenza), nelle politiche dell'austerità (i.e. Minori sussidi pubblici), dalla dipendenza dal credito bancario (i.e. Un modello di governance che non prevede l'apertura del capitale). 

Esso è ancora forte, ma le minacce aumentano. Cosa possono fare i policy makers?

Gli ostacoli principali restano due. 

Uno è dalla parte delle imprese, nei loro processi produttivi e nel loro modo di approcciarsi al finanziamento: sono poche le imprese che si sono dimostrate in grado di cambiare, aprire il capitale per crescere, esporre la propria impresa ad un giudizio esterno, fare acquisizioni; un numero insoddisfacente per trainare la ripresa di un Paese G7.

L'altro ostacolo è che alcuni nostri rilevanti investitori istituzionali (fondi pensione, casse) sono troppo diversi dagli altri Paesi: non hanno fatto nulla per la crescita delle imprese, non è venuta nessuna spinta alle imprese perché si ripensassero e consentissero ad un capitale paziente di entrare nell'impresa e di svilupparsi. 

L'Italia è rimasta, nel suo sistema socio-politico al tempo dei Principati, dei campanili. Ognun per se. Un sistema dove, finché il Governo è riuscito a mediare le diverse istanze, con iniezioni di denaro pubblico (che oltre all'enorme debito ha anche generato la corruzione), le cose sono andate più o meno bene. Ne consegue che, senza questi fattori e senza un'ampia disponibilità di denaro pubblico (che per US, UK e Germania non è un problema, per noi lo è, proprio perché quando abbiamo - poca - disponibilità dobbiamo finanziare leggi mancia per far reggere il sistema politico-istituzionale), non si può cambiare senso di marcia. Il declino è realtà

Occorre quindi prendere l'iniziativa e istituire una Small Business Administration come negli USA, che ospita tra l'altro un development center per le aziende, dove concentrare le iniziative, i servizi e le risorse economiche per le PMI oggi divise tra amministrazioni pubbliche e CDP. Occorre poi dare un incentivo al risparmio privato perché affluisca verso i fondi pensione per investire nelle PMI. 

Mettere da parte l'antico senso della contrapposizione per creare sviluppo. Occorre ricostituire un sistema politico nazionale che ridia coesione alla società. Che abbia a cuore gli interessi dei molti e non dei singoli. 

Fermare il declino si può se si prende coscienza di essere scivolati nel burrone. Fare finta di nulla non aiuta. E il peggio deve arrivare, 


martedì 13 settembre 2016

La Germania pronta a rivedere l'austerità in Europa! Beh non ancora

Interessante articolo apparso oggi su "La Stampa" versione on line. Questo il link dove potete leggere il pezzo. Si tratta di un intervista a Jacob Lew - Segretario del tesoro americano - che ha degli aspetti molto interessanti. L'articolo inizia così: 'Il dibattito fra austerity e crescita è finito: tutti concordano sul fatto che in questo momento bisogna alimentare la crescita'. Incoraggiante direi. 

Il punto centrale dell'intervento però è più avanti quanto Lew nota, con riferimento alla Germania che 'secondo le loro stime, usano una frazione significativa dello spazio fiscale che hanno'.  E prosegue: 'Non credo che vedremo un cambiamento di filosofia in Germania, però penso che abbiamo già visto un mutamento delle pratiche". 

Insomma, un colpo al cerchio ed uno alla botte: la Germania sta facendo qualcosa per aiutare la crescita, ma potrebbe fare di più. A scuola avremmo detto "il ragazzo è intelligente, ma non si applica". 

Senza pensare al surplus commerciale della Germania che dovrebbe far scattare delle azioni nell'UE, in Europa non si ha la sensazione che il governo tedesco sia più favorevole ad interventi per la crescita, non oltre il livello che assicura un margine di sicurezza rispetto al 3% del rapporto indebitamento su PIL. Quindi, da un punto di vista tecnico, il 3% è stato ridotto al 2,8 e nessuno l'ha notato o fatto notare. Altro che maggiore flessibilità o cambio delle pratiche! Tutt'altro. 

Se si applicassero le regole cum grano salis, il tema di avere un bilancio corretto per il ciclo sarebbe neutralizzato dall'osservazione che il ciclo economico non c'è e non si prevede di vederlo tornare a meno che non si dia corso a quanto detto nel G20 (più investimenti pubblici) è ricordato da Mario Draghi giovedì scorso. 

L'Europa deve riconoscere il suo graduale declino, legato anche alle misure di austerità, controintuitive vista la situazione dell'economia, ma anche alla mancanza di una politica industriale comune, che metta insieme le eccellenze nazionali in un progetto di sviluppo europeo. 

Ma sono tutti concentrati sulle elezioni nazionali o appuntamenti referendari per poterci lavorare. 

domenica 11 settembre 2016

Rilanciamo l'Italia con la PPP!

L'Italia è uno dei paesi dove la partnership pubblico privata è meno utilizzata; nei casi in cui ci è stato fatto ricorso, la parte pubblica ha dovuto garantire eccessivamente la parte privata, disconoscendo quindi il valore della partnership.

Questo è dovuto a diverse cause che però non sono oggetto di questo post.  Idea che vorrei lanciare è quella di una partnership dove il privato effettua l'investimento - a seguito della vittoria di una regolare concessione - tutto a suo carico e dove lo Stato riconosce un credito di imposta pari al 50% dell'investimento effettuato solo una volta che lo stesso è concluso e operante. 

Se per esempio dovessimo realizzare un parco eolico offshore, il privato sarebbe chiamato a realizzate tale investimento ricorrendo al capitale proprio e al debito bancario sapendo che gli verrebbe riconosciuto dallo Stato un credito di imposta che gli consente di recuperare in cinque anni la metà del proprio investimento.  E così  si otterrebbe l'allineamento degli interessi tra il pubblico, che vuol veder realizzata l'opera, e il privato che la vuole realizzare onestamente avendo come partner lo Stato che è disposto a ripagare il 50% dei costi sostenuti per un'opera funzionante ed operativa. I proventi poi derivanti dallo sfruttamento della concessione saranno, come oggi, a favore del privato. 

Questa semplice rivoluzione avrebbe un costo a carico dello Stato - come oggi - a fronte però di opere realizzate e in grado di rispondere alle esigenze per la qugale era stata fatta un'asta per una concessione. 

Certo c'è bisogno di un settore privato in grado di mettere capitale - che verrà ben remunerato - e prendere a prestito debito, che sarà ripagato grazie all'utilità dell'opera.  Sì perché un effetto di questa riforma sarebbe che nessuna privato è disposto ad investire se lo opera non è in grado di generare terminati di turni e dunque se la sua attività economica non emerge dagli attesi  ricavi per il suo esercizio. 

Naturalmente resterebbero spazio per le opere pubbliche, tipicamente tutte a carico dello Stato. Ma in questo modo si potrebbero realizzare investimenti privati, aventi interesse pubblico, e per i quali gli elementi economici emergerebbe dalla partecipazione alla gara indetta dal settore pubblico in modo molto trasparente. 

sabato 10 settembre 2016

Pronti per i due Euro?

Sono sicuro he la dichiarazione di Atene di ieri abbia aperto un nuovo capitolo della storia dell'Unione Europea. 

Alcuni segnali erano arrivati da eminenti economisti, che hanno cominciato a teorizzare come sia più conveniente  tornare indietro dall'euro rispetto a proseguire nella strada intrapresa alcuni decenni fa. 

Presenti Grecia Francia Italia Portogallo Spagna Malta e Cipro,  da Atene ieri è partita ieri la proposta di un'Europa più solidale, con meno tecnicismi, più crescita e coesione. A pensarci bene nulla di diverso da quello che i trattati di Roma proponevano di fare, affidandosi ad una visione politica di un'Europa unita e in grado di essere punto di equilibrio nel mondo. 

Leggendo bene l'ultimo lavoro di Joseph Stigliz, mi sembra di arrivare a conclusioni opposte a quelle propinate recentemente sulla stampa da commentatori e movimenti politici proprio a partire dal suo lavoro. La mia conclusione è che siamo ad un punto di svolta così importante, tale da far paura a chi non vuole che l'Europa resti unita e si rinsaldi dietro una visione politica di unità e solidarietà sociale. Ma chi può non volere il progetto europeo? 

Ognuno di voi lettori può certamente rispondere; la mia idea è che siamo proprio noi cittadini dei paura del cambiamento che l'Europa Unita può portare.  Questo ci fa rinchiudere in noi stessi, e da animo alle richieste nazionaliste di ritorno alle monete nazionali e di rifiuto dei migranti. Insomma siamo vittime della nostra paura di giocare un ruolo attivo all'interno di un mondo sempre più complesso. 

La lunga stagnazione economica porta con sé un'altra vittima: l'ideale che aveva mosso i fondatori dell' Unione Europea. Facciamo in modo che non sia così! 



venerdì 19 agosto 2016

Affrontare la #Brexit in modo Europeo. Un altro punto nell'agenda di Ventotene.

Il Governo della Gran Bretagna si prepara silenziosamente ed intelligentemente a trattare con l'Europa (e/o con i singoli paesi europei) la sua uscita dall'euro. Al contrario, l'UE stenta a trovare un piano ed un metodo in grado di trattare la Brexit nel modo più efficiente possibile. È molto probabile che il governo inglese, dopo aver incaricato un ministro di seguire la faccenda, dia un mandato parlamentare molto chiaro allo stesso su cosa chiedere e non chiedere durante la negoziazione. E qual debba essere il punto di caduta, ovvero a quale risultato arrivare. 

Noi in Europa dovremmo fare la stessa cosa. In primo luogo i paesi dell'euro dovrebbero incaricare una persona (una per Stato) in modo da formare un gruppo che crei una piattaforma negoziale nella quale tutti paesi si riconoscono e che sia approvata dal parlamento europeo e dei singoli parlamenti nazionali.  
Sarebbe anche un bel modo di fare in trasparenza il negoziato. 

Diversi sono i dossier da preparare, che vanno dal tema della libera circolazione dei cittadini, dei beni e dei servizi a temi quali la certezza dei contratti stipulati. Si tratta di temi molto ampi e vari che ti richiedono una chiara ricognizione e definizione. 

Solo dopo si potrebbe definire la squadra dei negoziatori, che grazie ad mandato parlamentare europeo e nazionale sarebbero in grado di portare avanti la trattativa dall'inizio alla fine, senza cambi repentini di squadra, in modo da poter seguire l'interesse comunitario in una partita molto delicata per il futuro del nostro continente. 

Potrebbe essere questo un altro degli argomenti che Matteo Renzi potrebbe discutere a Ventotene settimana prossima insieme ad Hollande e Merkel. 

mercoledì 17 agosto 2016

I dubbi di Renzi. Cosa fare a Ventotene?

Oggi i giornali sono ricchi di ipotesi sulla prossima  finanziaria dell'Italia e sulla flessibilità da chiedere all'Europa magari proprio il vertice di ventottene come era stato proposto in questo blog (Vedi qui).

Sono incredulo di leggere in molti giornali, ma soprattutto molto esplicitamente ne "La stampa" (vedi  articolo di Marco Galluzzo "Il Piano di Palazzo Chigi. La manovra "strategica" per trattare con Bruxelles), di ipotesi di chiedere maggiore flessibilità dovuta a cause eccezionali, come sostenuto da questo blog ed da altri più autorevoli commentatori. Peccato che (vedi da ultimo Piga) si debba notare che il massimo della strategia sia quella di rimanere sotto il 3% e ritardare il percorso di rientro. Bella forza, bella strategia! È già così! Il tendenziale dei conti pubblici questo dice. E allora, dov'è la strategia.

Bene il rilancio degli investimenti pubblici, ma quello che serve sono misure europee, coordinate e concentrate. Altrimenti, come ho avuto modo di spiegare qui misure nazionali non servono a molto.

Quindi a Ventotene, il giovane Presidente Renzi deve essere più coraggioso. Deve parlare di strategia complessiva e non degli "zero virgola". Non del 3% italiano o del 5% francese, ma della disoccupazione europea, della perdita di slancio dell'economia europea, dei problemi di coesione che questo comporta a livello europeo.

Provi ad avanzare 4 proposte:

1. Che il Piano Juncker si tramuti in un Piano di investimenti in capitale di rischio verso le PMI, tralasciando le infrastrutture
2. L'investimento in infrastrutture sia lasciato libero ai singoli Paesi, nell'ambito di un deficit comunque con un cap al 3% e, per le infrastrutture di connessione europea, del bilancio europeo. 
3. Togliere la regola del cofinanziamento che lega fondi strutturali europei alla spesa pubblica nazionale 
4. Creare un Education Plan For Europe

Se le faccia bocciare ed esca dell'equilibrismo fatto di sorrisi europei e malumori sussurrati italiani.

sabato 13 agosto 2016

Per la crescita in Italia servono misure europee.

Leggo oggi molti commentatori, giornalisti e politici chiedere a gran voce misure espansive di bilancio da parte dell'Italia. 

Ci dimentichiamo che in un'economia aperta e per di più nella moneta unica, incentivi fiscali di un solo Paese vanno a vantaggio di tutti. In altre parole, vanno a vantaggio anche dei Paesi che non ne sopportano l'onere non potendo essere misure fiscali selettive per normativa europea.

Gli economisti veri ve lo spiegheranno meglio. Ma un incentivo fiscale a rinnovare, ad esempio, le automobili andrà a beneficio di tutti i produttori di automobili e non solo di quelli italiani. Quindi misure come il super ammortamento (la possibilità di registrare il costo fiscale di un bene maggiorandolo del 40% e quindi avendo un beneficio in termini di quote di ammortamento), varato lo scorso anno in Francia e quest'anno in Italia, aumentano il gettito IVA nel Paese, ma non il PIL in pari misura al carico fiscale sopportato da chi ha messo l'incentivo. 

Un serio rilancio dell'economia europea, passa quindi per misure europee. Sia misure concertate - i.e. il super ammortamento adottato da tutti i Paesi Europei - sia attraverso un vero Piano europeo per il rilancio degli investimenti pubblici ed il sostegno a quelli privati (altro che "acqua di rose Juncker"), ma anche con misure di incentivo fiscale posto a carico del bilancio europeo.

A complemento di tutto questo, un sostegno alle PMI tramite Procurement Pubblico sarebbe il giusto complemento. Ma per carità, non sia mai cresciamo e creiamo occupazione!

Una vera flessibilità della politica di bilancio senza sforare il limite del 3% (Vedi qui le mie proposte) sarebbe solo il giusto complemento, ma capisco che meglio riempire i giornali di promesse e polemiche che di proposte strutturate. 

Per la crescita in Italia servono misure europee.

Leggo oggi molti commentatori, giornalisti e politici chiedere a gran voce misure espansive di bilancio da parte dell'Italia. 

Ci dimentichiamo che in un'economia aperta e per di più nella moneta unica, incentivi fiscali di un solo Paese vanno a vantaggio di tutti. In altre parole, vanno a vantaggio anche dei Paesi che non ne sopportano l'onere non potendo essere misure fiscali selettive per normativa europea.

Gli economisti veri ve lo spiegheranno meglio. Ma un incentivo fiscale a rinnovare, ad esempio, le automobili andrà a beneficio di tutti i produttori di automobili e non solo di quelli italiani. Quindi misure come il super ammortamento (la possibilità di registrare il costo fiscale di un bene maggiorandolo del 40% e quindi avendo un beneficio in termini di quote di ammortamento), varato lo scorso anno in Francia e quest'anno in Italia, aumentano il gettito IVA nel Paese, ma non il PIL in pari misura al carico fiscale sopportato da chi ha messo l'incentivo. 

Un serio rilancio dell'economia europea, passa quindi per misure europee. Sia misure concertate - i.e. il super ammortamento adottato da tutti i Paesi Europei - sia attraverso un vero Piano europeo per il rilancio degli investimenti pubblici ed il sostegno a quelli privati (altro che "acqua di rose Juncker"), ma anche con misure di incentivo fiscale posto a carico del bilancio europeo.

A complemento di tutto questo, un sostegno alle PMI tramite Procurement Pubblico sarebbe il giusto complemento. Ma per carità, non sia mai cresciamo e creiamo occupazione!

Una vera flessibilità della politica di bilancio senza sforare il limite del 3% (Vedi qui le mie proposte) sarebbe solo il giusto complemento, ma capisco che meglio riempire i giornali di promesse e polemiche che di proposte strutturate. 

Per la crescita in Italia servono misure europee.

Leggo oggi molti commentatori, giornalisti e politici chiedere a gran voce misure espansive di bilancio da parte dell'Italia. 

Ci dimentichiamo che in un'economia aperta e per di più nella moneta unica, incentivi fiscali di un solo Paese vanno a vantaggio di tutti. In altre parole, vanno a vantaggio anche dei Paesi che non ne sopportano l'onere non potendo essere misure fiscali selettive per normativa europea.

Gli economisti veri ve lo spiegheranno meglio. Ma un incentivo fiscale a rinnovare, ad esempio, le automobili andrà a beneficio di tutti i produttori di automobili e non solo di quelli italiani. Quindi misure come il super ammortamento (la possibilità di registrare il costo fiscale di un bene maggiorandolo del 40% e quindi avendo un beneficio in termini di quote di ammortamento), varato lo scorso anno in Francia e quest'anno in Italia, aumentano il gettito IVA nel Paese, ma non il PIL in pari misura al carico fiscale sopportato da chi ha messo l'incentivo. 

Un serio rilancio dell'economia europea, passa quindi per misure europee. Sia misure concertate - i.e. il super ammortamento adottato da tutti i Paesi Europei - sia attraverso un vero Piano europeo per il rilancio degli investimenti pubblici ed il sostegno a quelli privati (altro che "acqua di rose Juncker"), ma anche con misure di incentivo fiscale posto a carico del bilancio europeo.

A complemento di tutto questo, un sostegno alle PMI tramite Procurement Pubblico sarebbe il giusto complemento. Ma per carità, non sia mai cresciamo e creiamo occupazione!

Una vera flessibilità della politica di bilancio senza sforare il limite del 3% (Vedi qui le mie proposte) sarebbe solo il giusto complemento, ma capisco che meglio riempire i giornali di promesse e polemiche che di proposte strutturate. 

Per la crescita in Italia servono misure europee.

Leggo oggi molti commentatori, giornalisti e politici chiedere a gran voce misure espansive di bilancio da parte dell'Italia. 

Ci dimentichiamo che in un'economia aperta e per di più nella moneta unica, incentivi fiscali di un solo Paese vanno a vantaggio di tutti. In altre parole, vanno a vantaggio anche dei Paesi che non ne sopportano l'onere non potendo essere misure fiscali selettive per normativa europea.

Gli economisti veri ve lo spiegheranno meglio. Ma un incentivo fiscale a rinnovare, ad esempio, le automobili andrà a beneficio di tutti i produttori di automobili e non solo di quelli italiani. Quindi misure come il super ammortamento (la possibilità di registrare il costo fiscale di un bene maggiorandolo del 40% e quindi avendo un beneficio in termini di quote di ammortamento), varato lo scorso anno in Francia e quest'anno in Italia, aumentano il gettito IVA nel Paese, ma non il PIL in pari misura al carico fiscale sopportato da chi ha messo l'incentivo. 

Un serio rilancio dell'economia europea, passa quindi per misure europee. Sia misure concertate - i.e. il super ammortamento adottato da tutti i Paesi Europei - sia attraverso un vero Piano europeo per il rilancio degli investimenti pubblici ed il sostegno a quelli privati (altro che "acqua di rose Juncker"), ma anche con misure di incentivo fiscale posto a carico del bilancio europeo.

A complemento di tutto questo, un sostegno alle PMI tramite Procurement Pubblico sarebbe il giusto complemento. Ma per carità, non sia mai cresciamo e creiamo occupazione!

Una vera flessibilità della politica di bilancio senza sforare il limite del 3% (Vedi qui le mie proposte) sarebbe solo il giusto complemento, ma capisco che meglio riempire i giornali di promesse e polemiche che di proposte strutturate. 

Per la crescita in Italia servono misure europee.

Leggo oggi molti commentatori, giornalisti e politici chiedere a gran voce misure espansive di bilancio da parte dell'Italia. 

Ci dimentichiamo che in un'economia aperta e per di più nella moneta unica, incentivi fiscali di un solo Paese vanno a vantaggio di tutti. In altre parole, vanno a vantaggio di tutti non potendo essere misure fiscali selettive per normativa europea. Gli economisti veri ve lo spiegheranno meglio. Ma un incentivo fiscale a rinnovare, ad esempio, le automobili andrà a beneficio di tutti i produttori di automobili e non solo di quelli italiani. Quindi misure come il super ammortamento (la possibilità di registrare il costo fiscale di un bene maggiorandolo del 40% e quindi avendo un beneficio in termini di quote di ammortamento), varato lo scorso anno in Francia e quest'anno in Italia, aumentano il gettito IVA nel Paese, ma non il PIL in pari misura al carico fiscale sopportato da chi ha messo l'incentivo. 

Un serio rilancio dell'economia europea, passa quindi per misure europee. Sia misure concertate - i.e. il super ammortamento adottato da tutti i Paesi Europei - un vero Piano europeo per il rilancio degli investimenti pubblici ed il sostegno a quelli privati, misure di incentivo fiscale posto a carico del bilancio europeo.

A complemento di tutto questo, un sostegno alle PMI tramite Procurement Pubblico sarebbe il giusto complemento. Ma per carità, non sia mai cresciamo e creiamo occupazione!

Una vera flessibilità della politica di bilancio senza sforare il limite del 3% (Vedi qui le mie proposte) sarebbe solo il giusto complemento, ma capisco che meglio riempire i giornali di promesse e polemiche che di proposte strutturate. 

Per la crescita in Italia servono misure europee.

Leggo oggi molti commentatori, giornalisti e politici chiedere a gran voce misure espansive di bilancio da parte dell'Italia. 

Ci dimentichiamo che in un'economia aperta e per di più nella moneta unica, incentivi fiscali di un solo Paese vanno a vantaggio di tutti. In altre parole, vanno a vantaggio di tutti non potendo essere misure fiscali selettive per normativa europea. Gli economisti veri ve lo spiegheranno meglio. Ma un incentivo fiscale a rinnovare, ad esempio, le automobili andrà a beneficio di tutti i produttori di automobili e non solo di quelli italiani. Quindi misure come il super ammortamento (la possibilità di registrare il costo fiscale di un bene maggiorandolo del 40% e quindi avendo un beneficio in termini di quote di ammortamento), varato lo scorso anno in Francia e quest'anno in Italia, aumentano il gettito IVA nel Paese, ma non il PIL in pari misura al carico fiscale sopportato da chi ha messo l'incentivo. 

Un serio rilancio dell'economia europea, passa quindi per misure europee. Sia misure concertate - i.e. il super ammortamento adottato da tutti i Paesi Europei - un vero Piano europeo per il rilancio degli investimenti pubblici ed il sostegno a quelli privati, misure di incentivo fiscale posto a carico del bilancio europeo.

A complemento di tutto questo, un sostegno alle PMI tramite Procurement Pubblico sarebbe il giusto complemento. Ma per carità, non sia mai cresciamo e creiamo occupazione!

Una vera flessibilità della politica di bilancio senza sforare il limite del 3% (Vedi qui le mie proposte) sarebbe solo il giusto complemento, ma capisco che meglio riempire i giornali di promesse e polemiche che di proposte strutturate. 

Per la crescita in Italia servono misure europee.

Leggo oggi molti commentatori, giornalisti e politici chiedere a gran voce misure espansive di bilancio da parte dell'Italia. 

Ci dimentichiamo che in un'economia aperta e per di più nella moneta unica, incentivi fiscali di un solo Paese vanno a vantaggio di tutti. In altre parole, vanno a vantaggio di tutti non potendo essere misure fiscali selettive per normativa europea. Gli economisti veri ve lo spiegheranno meglio. Ma un incentivo fiscale a rinnovare, ad esempio, le automobili andrà a beneficio di tutti i produttori di automobili e non solo di quelli italiani. Quindi misure come il super ammortamento (la possibilità di registrare il costo fiscale di un bene maggiorandolo del 40% e quindi avendo un beneficio in termini di quote di ammortamento), varato lo scorso anno in Francia e quest'anno in Italia, aumentano il gettito IVA nel Paese, ma non il PIL in pari misura al carico fiscale sopportato da chi ha messo l'incentivo. 

Un serio rilancio dell'economia europea, passa quindi per misure europee. Sia misure concertate - i.e. il super ammortamento adottato da tutti i Paesi Europei - un vero Piano europeo per il rilancio degli investimenti pubblici ed il sostegno a quelli privati, misure di incentivo fiscale posto a carico del bilancio europeo.

A complemento di tutto questo, un sostegno alle PMI tramite Procurement Pubblico sarebbe il giusto complemento. Ma per carità, non sia mai cresciamo e creiamo occupazione!

Una vera flessibilità della politica di bilancio senza sforare il limite del 3% (Vedi qui le mie proposte) sarebbe solo il giusto complemento, ma capisco che meglio riempire i giornali di promesse e polemiche che di proposte strutturate. 

venerdì 12 agosto 2016

Ancora danni dal fiscal compact. La crescita rallenta ancora. Coraggio: ridiamo speranza all'Europa!

Il dato sulla crescita economica appena diffuso dall'ufficio di statistica europeo (crescita nel II trimestre +0.3%) certifica quanto si iniziava a capire. L'incertezza del quadro geopolitico - le guerre e e le prossime elezioni per capirci - unita a fattori specifici per ogni Paese (referendum per UK, banche per l'Italia) pesano sulle prospettive di crescita del vecchio continente. 

Al QE della ECB occorre aggiungere una politica europea di investimenti pubblici e di incentivi a quelli privati. Ma deve essere compiuto uno sforzo comune europeo ed evitare singole mosse dei governi. 

Non credo che la Germania possa essere propensa ad un piano di Investimenti pubblici finanziato in deficit, magari a carico del bilancio comunitario. E così lentamente sprofondiamo nella secular stagnation e ci aggrappiamo alla speranza che Industria 4.0 ci salvi tutti. 

Chissà che il prossimo vertice di Ventotene non ci porti qualche concreta novità. Parole e annunci forse. Novità concrete non me le aspetto. Basterebbe che Italia, Germania e Francia si accordassero per portare i propri deficit al 5% (oophs.. quello della Francia è sostanzialmente già li) riconoscendo l'esigenza di "circostanze eccezionali" come indicano i trattati. 

Non bastano le guerre, le migrazioni, la recessione, la disoccupazione per spingere i nostri governanti ad un coraggioso passo come quello di investire nei propri Paesi? 

giovedì 11 agosto 2016

Lo strabismo di Renzi e le riforme costose ed inutili.

Del 9 agosto mettevo in evidenza (Leggi qui ) priorità, le sette priorità, che ogni governo dovrebbe affrontare per poter rilanciare l'Italia all'interno dello scacchiere politico ed economico internazionale.

Non vi è dubbio che il primo tema è il rilancio di un sistema politico. Serve qualcosa di profondamente diverso da quello attuale, che abbia la capacità di guardare al futuro senza la necessità di dover perpetuare il proprio potere. Questo cambiamento dipende principalmente, se non esclusivamente, da noi cittadini che non siamo più in grado di apprezzare la buona politica, distinguendola dalle promesse. 

Una buona occasione è rappresentata dal prossimo referendum. Carente è l'informazione che consente ai cittadini di valutare la bontà della riforma. Io provo a dirvi la mia e cercherò di partecipare alle discussione che spero diverranno vivaci, consentendo ai cittadini liberi di trovare la propria posizione in merito al referendum. 

Ecco intanto la mia idea. Io sono contrario all'abolizione del Senato, che in realtà si tratta di una sua riduzione in poteri e competenze.  Io sono convinto della necessità di un bicameralismo perfetto, in quanto consente di esaminare compiutamente una legge e di migliorarla nell'interesse del Paese.  Il detto dice: quattro occhi vedono meglio di due. 

Per migliorare l'iter di approvazione delle norme molto più semplicemente andavano rivisti i regolamenti parlamentari, che spesso sono sfruttati dei volponi della politica e dai parlamentari di professione per ritardare la discussione in aula. Che poi spesso si chiude con l'approvazione "a scatola chiusa" di un maxi emendamento votato insieme alla fiducia governo. Alla faccia del dibattito parlamentare.

Parallelamente avrei promosso l'introduzione di una bicamerale permanente con il compito di uniformare i testi votati alla Camera e al Senato, in modo da evitare superflui passaggi delle leggi da un ramo del Parlamento ad un altro. 

Queste semplici riforme potevano essere approvate con tempi più rapidi rispetto alla riforma voluta da Renzi e avrebbero ottenuto, con minori costi, lo stesso risultato. Anzi ne avrebbero garantito uno migliore, preservando il valore del bicameralismo perfetto. 

martedì 9 agosto 2016

I sette problemi che frenano l'Italia.

Un vecchio adagio dice: tutti i nodi vengono al pettine. Renzi ha sbagliato le priorità del suo mandato di governo, puntando troppo sulle riforme istituzionali che non servono e troppo poco sulle riforme necessarie. E questo sta emergendo molto chiaramente oggi. 

Va riconosciuto che Biancaneve-Matteo ha cercato di modernizzare il Paese, ma troppo poco ha fatto per risolvere i sette problemi che affliggono l'Italia. 

A differenza di Biancaneve, i sette nani di Matteo e dell'Italia però non consentono al Paese di svilupparsi ed essere socialmente equo. E, come i nani di Biancaneve, i 7 problemi dell'Italia sono in relazione uno con l'altro. 

Prima di tutto un sistema politico fatto di ex partiti e partitini, o movimenti, tesi alla perpetuazione dell'esistente piuttosto che al dialogo costruttivo volto a determinare una vera svolta nella politica italiana. Termometro di questa debolezza è il calo di affluenza alle urne registrato in occasione delle ultime amministrative.

Questo sistema ha partorito una legge elettorale che non è neppure entrata in vigore - mancano le leggi regionali d'attuazione  - che già si pensa di cambiarla perché l'esito potrebbe essere quello dei sindaci di Roma o Torino. Ma cosa si diceva delle leggi ad personam? Non sarebbe però la prima volta che la legge elettorale serve ad partitum (pensate quando venne introdotto il voto per i cittadini all'estero).

La conseguenza di questo sistema politico incerto è nostra assenza in politica estera. Nonostante la strategicità della posizione del Paese e la sua esposizione rispetto ai flussi migratori e terroristici, siamo spesso assenti nel proporre soluzioni. Inascoltati. Ci accontentiamo di essere stati ammessi al direttorio franco-tedesco, senza che questo abbia prodotto in un effettivo beneficio per il sistema Italia.  Tutti i ragionamenti si traducono semplicemente nel riconoscimento di miseri  "Zero Virgola". Ma questa non è politica estera, ma ragioneria. 

E poi l'economia. Non basta il job act per rilanciare l'economia, ma serve una sana politica di investimenti pubblici o di investimenti pubblici a sostegno di quelli privati in grado di chiudere il gap competitivo tra Italia e gli altri paesi G7.  Serve sostenere le piccole e medie imprese anche attraverso il procurement pubblico, diventato un mero strumento di riduzione della spesa e sempre più mancato strumento di politica industriale per sostenere la struttura portante della nostra economia. 

Purtroppo la mancanza di imprenditori e di capitani coraggiosi così presenti negli anni '60 in Italia e oggi così assenti è pesata sul clima economico generale del Paese e sta pesando sulle prospettive di crescita dell'Italia. La mancanza di grandi imprese italiane, pubbliche o private, ormai sepolte dalle privatizzazioni e quasi tutte espatriate, non consente di avere una scuola di imprenditoria. E imprenditori di terza o quarta generazione molto spesso preferiscono fare impresa all'estero o, peggio, vendono tutti gli asset e vanno a vivere in qualche paradiso terrestre.

Di certo non aiuta una burocrazia statale, ma soprattutto regionale e comunale, sovraccarica di compiti e inadeguata in quanto a strumenti e strutture per rispondere alla sfida della globalizzazione.  Nella selva di leggi scritte male e con la paura di sbagliare, l'azione amministrativa oggi è il freno motore economia. E di questo dobbiamo ringraziare chi, in questi anni, ha deriso, denigrato e distrutto la pubblica amministrazione. Anche Renzi, non solo Brunetta, che con le sue presunte  riforme della pubblica amministrazione ha perso l'occasione di rilanciare il sistema amministrativo italiano che per molti anni ha garantito la corretta trasmissione degli input Politici verso l'economia e i cittadini.  Lasciando spazio alla corruzione e al malaffare. 

C'è poi il capitolo infrastrutture. Mentre l'Italia pensa ancora alla banda larga, gli altri paesi grazie al fatto che questa infrastruttura già ce l'hanno, sono passati a pensare a innovativi servizi e prodotti basati proprio sul suo utilizzo. Nulla da fare sul fronte del sistema turistico portuale, ma anche del trasporto ferroviario delle merci o la lotta al dissesto idrogeologico. Ma quando si parla di infrastrutture occorre ricordare quelle legate all'efficienza energetica, dove incentivi generosi non riescono a raggiungere gli obiettivi. E lo sguardo anche va anche alla raccolta differenziata dei rifiuti che, anziché essere risorsa, sono fonte di costi, malattie e spreco. 





domenica 7 agosto 2016

Il principe sul pisello. La sindrome di Palazzo Chigi.

Anche questa volta la sindrome di Palazzo Chigi ha colpito il suo inquilino.  Questa volta si tratta di Renzi, che non ha fatto differenza rispetto ai suoi predecessori.  Il distacco con il Paese reale inizia quando si entra a Palazzo Chigi e ci si contorna di consulenti ed amici che vengono a indottrinare il presidente del consiglio sulle cose da fare. 

Ecco la differenza tra Renzi appena arrivato a Chigi, ancora fresco delle cose che sentiva direttamente dalla piazza e il Matteo re di Palazzo di oggi. 

Le prime mosse del Presidente erano azzeccate, in quanto rispondevano al Malpancismo nazionale, a cui oggi risponde solo il M5S. A parole, perché poi i fatti non sono facili a seguire. 

Purtroppo le prime mosse del Renzi operaio non erano le cose che servivano al Paese, ma i cittadini educati in tanti anni ad avere risposte clientelari da un sistema politico che ha fatto dei rivoli di spesa la sua forza, erano contenti; essi richiedono sempre interventi che consentono di "tirare avanti" senza impegnarsi per poterli ottenere e li avevano ottenuti. Ecco spiegato il successo degli 80 euro, la riforma (dov'è?) della Pubblica Amministrazione per eliminare sprechi e privilegi, la riduzione delle spese (ma dove?) la riduzione delle auto blu (che hanno solo cambiato colore) e, ora, del reddito di cittadinanza propinato dal M5S e da De Magistris a Napoli.

Ma poi arriva la realtà. Le regole europee, la disciplina dei mercati finanziari, la paura di perdere consensi. La mancanza di un progetto politico vero fa chiudere il Presidente nella sua reggia di Palazzo Chigi e qui inizia la sindrome del pisello. Come per la principessa delle favole, infastidita da un pisello sotto 7 materassi, il Re Presidente ha fastidio di ogni piccola cosa. E si perde contatto con le cose che servono davvero al Paese. Attuazioni dei provvedimenti fermi, leggi mancia (nel senso che danno mancia in giro come da 50 anni a questa parte) e un ministro dell'Economia che deve tornare a suonare l'allarme.

Ecco quindi @pcpadoan sul @sole24ore di ieri che richiama la necessità di poche misure di spesa concentrate sulla crescita. E si perché l'economista che è in @Pcpadoan sa ben che debito e deficit si combattono con la crescita e non con l'austerità. Ovvero con maggiori investimenti pubblici e privati, riduzione del carico fiscale e contributivo, creando le condizioni perché le imprese assumano. 

Se Matteo avesse un progetto politico e non fosse prigioniero della sindrome del pisello, forse potrebbe fare qualcosa di più per il nostro Paese. Ma lo stesso vale per gli altri politici, partiti o movimenti. Basta promesse elettorali, occorre un intento vero e sincero. Per il Paese. 




domenica 24 luglio 2016

Le regole servono per i politici che non sanno regolarsi.

A chi in Europa si sta occupando di banche, consiglio vivamente di leggere questo paper di Ball http://www.econ2.jhu.edu/People/Ball/Lehman.pdf.  

La sua idea è che Lehman doveva e poteva essere salvata e che questo avrebbe evitato molti degli effetti negativi registrati dopo la bancarotta della banca. Almeno questo è il messaggio che mi lascia, dopo aver letto il paper. 

Ma ci sono altre lezioni che emergono dalla ricostruzione di Ball, che si avvale di molti documenti e delle ricostruzioni ufficiali disponibili sul crack Lehman. Ecco quelle che ho imparato io. 

1. Le regole ci sono e vanno interpretate in relazione ai momenti storici. Quando si scrivono non si possono avere in mente situazioni eccezionali, né tutte le situazioni. Probabilmente quanto stava accadendo nel 2008, anche se il fallimento di Lehman poteva essere evitato, richiedeva un forte segnale, i.e. la regola non scritta "Too big to fail" poteva non essere rispettata. Che in qualche modo il sistema bancario non doveva sentirsi al riparo dalle crisi, solo perché questo avrebbe provocato un problema sistemico. Il sistema politico mondiale era pronto a subire le conseguenze del fallimento, pur di dare un segnale? 

2. È ormai evidente che il salvataggio della banca americana avrebbe evitato la profondità della di recessione che abbiamo vissuto. Forse si dovrebbe accedere ad un'altra spiegazione, ovvero che Lehman era diventata fastidiosa per il sistema o forse si era disallineata rispetto ad un certo modo di operare. Ma si tratta di fantasia. 

3. La capacità di interpretare le regole dipende dalla capacità politica di saper prendere decisioni. Occorre scegliere, anche in condizioni di non perfetta informazione. Attaccarsi alle regole mentre la nave affonda, illudendosi che saranno le regole a salvare la ciurma e i passeggeri, perché così dicono le regole, è poco sensato. Siamo arrivati alla Brexit e ancora non abbiamo capito che il problema risiede regole fiscali che ci siamo dati  e a quelle che vengono imposte alle banche. Salvo poi fare statement pubblici circa la lotta alla disoccupazione e in favore della crescita economica, ripetendo il mantra che il rigore fiscale sempre e ad ogni costo favorire la crescita economica. Ma questa politica è in grado di prendere decisioni? 

4.  Le decisioni di un Paese pesano sul resto della comunità mondiale. Lo fu nel caso di Lehman. Lo è nel caso della Brexit. Il mondo è globale anche in questo. 

Pericle ha ancora molto da insegnarci.

La situazione politica mondiale è in subbuglio. Persi i tradizionali punti di riferimento, il mondo globalizzato è alla ricerca di un nuovo equilibrio. 

Alcuni pensano che nel disordine globale si possa pescare meglio. E credono che il senso della parola democrazia sia quello di consentire a chi ha i mezzi di influenzare il destino degli altri. Pensate alle teorie di Casaleggio, non certo sue, che teorizzavano la democrazia del web. Penso al discorso di Pericle ed ho i brividi pensando a come è mal interpretato da queste forze, a cui non so dare un nome o un aggettivo per definirle. 

Chi le chiama lobby, chi massoneria, chi gruppi di interesse. Il punto è che sono forze in grado di definire una strategia, finanziarla e se non porta dove avevano pensato, cambiano linea, alleanze. Sono forze disposte a pagare qualsiasi prezzo pur di ottenere il loro obiettivo. 

Un'Europa asfittica, senza capacità di reazione sul fronte internazionale, stretta tra il terrorismo, la disoccupazione, l'immigrazione, è quello che oggi queste forze vogliono. Alcuni sono semplici ed ignari strumenti di queste azioni, altri sono gli architetti, altri sono i mandanti. 

Purtroppo, le forze veramente democratiche in grado di contrastare questa situazione si stanno esaurendo. Sono poche le generazioni che ricordano e hanno studiato le democrazie, i sistemi autoritari, e che sono in grado di reagire a queste forze. 

Magari sbaglio. Magari si tratta dell'egoismo dell'animo umano che porta a cercare il proprio benessere a scapito di quello degli altri. Quelli che dicono "faremo del mondo un posto migliore" magari - a bassa voce - aggiungono "ma non per tutti". 

Pericle nel suo discorso, ad un certo punto dice: "Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla." 

Iniziamo d occuparci dello Stato, non a deriderlo o prenderlo in giro. Non votiamo per protesta o seguendo la moda; votiamo per esprimere un'idea. E se non ci sono idee da votare, discutiamo per costruirle. 

domenica 10 luglio 2016

Il declino dell'Italia ha radici profonde. Il Tempo delle mele è finito.

Corsi e ricorsi storici. La storia non si ripete, ma insegna. Oggi ci troviamo in una situazione simile a quella del secondo dopoguerra. Ma la differenza è abissale. L'Italia del dopoguerra è aiutata a risollevarsi da un grande Piano Marshall e dalla benevolenza Alleata che vede in noi una piattaforma per la sicurezza nel mediterraneo. Oggi siamo chiamati a salvarci da soli. 

I nostri politici sfruttano bene la situazione negli anni '50 e '60 e questo determina un grande sviluppo del nostro Paese, ma anche un grande spreco. Infatti, pensiamo che la benevolenza e i denari altrui non debbano finire mai. È un po' come la sindrome di Peter Pan, non cresciamo. 

La nostra classe politica è immatura perché il Paese è immaturo. Siamo sempre alla ricerca dell'uomo forte, di quello che risolve la situazione, senza che ci si debba impegnare o soffrire per ottenere qualcosa; che poi è un futuro per i nostri figli. Così è stato per Belusconi, che per 20 anni ha incarnato l'uomo della speranza, il "cummenda" in grado di portare libertà e conservazione. Poi è spuntato il nuovo uomo della provvidenza, Monti. Poi Matteo Renzi. Ora il MS5. 

Inutile nasconderlo. La situazione è grave, e non può migliorare se non iniziamo a comportarci da cittadini adulti. Se come Italiani non riconosciamo la circostanza che è finito il "Tempo delle mele" e che abbiamo ormai perso la nostra posizione strategica militare. Rimpiazziati da altri, ma sopratutto incapaci di riconoscere che dovevamo fare una miniera della nostra posizione geografica per: 
  1. il commercio, dovevamo essere il "porto d'Europa" che invece abbiamo lasciato ad Amsterdam. 
  2. il turismo; con oltre il 90% del patrimonio storico artistico del mondo, dovremmo essere la meta più visitata al mondo. Invece è difficile persino raggiungere i luoghi d'interesse per mancanza di infrastrutture adeguate - ricettive e di trasporto -  e di organizzazione. 
  3. Le energie rinnovabili. Il Bel Paese. All'avanguardia nella ricerca per la generazione di energia pulita dalle maree, mai terminata per carenza di fondi. Eppure, quando si cerca di parlare di valutazione della ricerca o di Technology Transfer, si alzano barriere e muri per impedire qualsiasi cambiamento e meritocrazia. 
  4. le città e le università italiane. In lotta perenne per prevalere, invece che puntare sulla specializzazione e sul networking. Come se fossimo ancora in età comunale, con tanto di imperatore che - da lontano - impone e detta regole, come il fiscal compact. 

Questa immaturità la ritroviamo anche nella spesa pubblica e nelle Tax expenditure, cresciute a dismisura, frutto della necessità di una classe politica piccola piccola che ha creato un sistema di mancine per tutti, sotto forma di legge. Altro che interesse generale. Lo stesso se penso al Fondo Strategico, solo di nome, che non ha favorito aggregazioni o rafforzamenti patrimoniali delle nostre imprese. 

Se la nostra classe politica e noi stessi capissimo che siamo in declino e che tra poco il Paese sarà marginale in qualsiasi contesto, non avremmo paura del referendum di ottobre, saremmo presenti nelle aree del mondo dove serve assicurare un'azione di polizia, avremmo onorato la nostra amicizia con gli Stati Uniti senza tentennamenti,  definito una diversa politica economica in Europa,  eliminato " la spesa mancia",  puntato su poche eccellenze e buone infrastrutture, non avremmo abbandonato la politica industriale. 

Forse si può ancora fare, ma da cittadini smettiamo di lamentarci e iniziamo a chiedere unità  nazionale. Insieme si vince. Altrimenti siamo destinati alla povertà e miseria. 

Chi lo dice ai milioni di italiani morti per la nostra libertà? 

domenica 3 luglio 2016

Italia, il colosso d'argilla europeo che può cambiare il corso del destino europeo

Un po' come nell'ultimo film girato da Bogey, la politica italiana sembra costruire nuovi leader con delle combine di palazzo, più o meno casuali. Leader in grado di attirare il popolo italiano, sempre in cerca dell'uomo forte in grado di risolvere la situazione. Leader che viene osannato finché promette, ma quando puoi non mantiene l'impossibile, viene cestinato, deriso, distrutto. 

Ora a Roma già si sente chi non è contento del nuovo sindaco (la sindaca) che non ha neppure iniziato il suo difficile lavoro. Oppure chi, di fronte al fatto che questo governo qualcosa ha fatto, pensa di dilapidare la poca credibilità acquista dal Paese, nel nome di una democrazia dell'alternativa che non c'è. 

Eppure vedete cosa è successo alla Gran Bretagna dopo il referendum frutto di un calcolo politico che avrebbe avuto vincitori e vinti contenti in caso di vittoria del Remain. E invece, dopo la Brexit, il Paese è allo sbando. 

Come dicevo in un precedente post (In Europa manca la fiducia reciproca) così è solo questione di tempo. Ancora pensiamo di risolvere i problemi fuori dal contesto europeo ed internazionale? Pensa veramente Salvini di dare un futuro all'Italia mimando quello che fanno altri politici in Europa? Ovvero uscire dall'Euro? 

Non possiamo certo pensare che popoli divisi da lingua e tradizione, ma uniti dalla moneta possano capire quanto è importante essere uniti e cercare di esserlo ancora di più in futuro? Questo pensano i noeurini e i Salvini. Eppure secondo me i cittadini europei lo capiscono molto più dei politici e dei burocrati europei. Capiscono che soli si perde. Ci vogliono credere in un'Europa unita. 

Non è più il tempo delle divisioni, ma di lanciare un nuovo patto costituente per l'Europa, dove la  solidarietà e non solo la moneta sia la base per lo sviluppo dei rapporti comuni. 

L'Italia può essere il motore di una nuova Europa. Solo se riesce a togliersi il suo provincialismo di dosso e prende una decisone. Essere leader di un'Europa, colosso d'argilla.




sabato 2 luglio 2016

A qualcuno piace caldo.

La situazione che si è venuta a creare dopo la Brexit è paradossale. Da un lato, sembra che il Governo  inglese non ha molta fretta di attivare le procedure di uscita. Farage, invece di dimettersi dal Parlamento europeo, preferisce mantenere la generosa diaria che gli è garantita dall'Europarlamento. Molto più coerenti altri sui colleghi, come Hill, che invece ha lasciato deleghe. Dall'altro canto, i Paesi europei, invece di lavorare per rafforzare l'Europa e correggere gli enormi sbagli commessi in nome del rigore finanziario e delle regole sugli aiuti di Stato, cominciano a prefigurare come attirare l'industria finanziaria che oggi vive allegra a Londra. 
Chi riuscirà nell'intento di portare l'industria finanziaria nel proprio paese, pensa di mettere un sigillo sul controllo del futuro dell'Unione. Così almeno si pensa. Non pensa, che in questo momento occorre collaborare e non cercare di prevalere. 
Intanto i mercati spingono al ribasso tutto, in particolare le banche. L'atmosfera si fa calda. Forse a qualcuno piace così. Una situazione tesa, dove lo spirito della crisi, spinge a emozionali scelte e - forse - errori. 

Eppure le condizioni eccezionali, previste dal Trattato dellUnione, ci sono. Continua a crescere il malcontento per la situazione economica e questo dà spazio a movimenti estremisti ma anche ai noeurini. Juncker è troppo vecchio per capire che la sua Commisisone non sta dando un futuro all'Europa. Merkel, Hollande e Renzi troppo preoccupati delle problematiche politiche interne. Nessuno si ricorda che da soli, i singoli Stati sono un boccone troppo facile nel mondo della globalizzazione. La Spagna, speriamo torni presto sulla scena e magari un po' meno filo tedesca. 

Matteo alza la testa. Non ti pavoneggiare mentre vai agli incontri con Merkel e Hollande. L'Italia ha risorse, uomini e competenze per presentare un documento per il riavvio dei motori europei. Guarda avanti e non pensare al tuo futuro, ma a quello dell'Italia. È il momento di farlo. Non importa se vinci o perdi il referendum se non abbiamo un futuro verso cui andare. 

Se a qualcuno piace caldo, a noi piace concreto. Il futuro. Ovvio. 

domenica 26 giugno 2016

Brexit: istruzioni per il vertice di domani a Berlino.

Molti commentatori oggi si accorgono di quanto detto da questo blog ieri. "C'è chi cerca di differenziare i voti a secondo delle coorti di età o in relazione alla posizione geografica ed infine al grado di istruzione. Ma i voti, in democrazia si contano e non si pesano." (vedi il testo completo del pezzo).

La reazione che domani mi aspetto dal vertice a tre (Germania, Francia e Italia) non deve riguardare solamente gli aspetti numerici dell'attuale situazione Europa ed in particolare i numeri di finanza pubblica. Occorre affrontare in modo serio il tema della disoccupazione e della disuguaglianza crescente che la globalizzazione ha portato all'interno delle nostre società e che si manifesta anche attraverso gli imponenti flussi migratori a cui stiamo assistendo. 

Oggi non servono risposte egoistiche che cerchino di trarre vantaggio dalla situazione che si sta venendo a creare.

I movimenti populisti che stanno crescendo in Europa e nel mondo non sono altro che la manifestazione democratica di un effetto della globalizzazione, che per molto tempo abbiamo rifiutato di riconoscere. All'inizio, quando l'economia sembrava offrire possibilità per tutti, le persone immaginavano di poter avere una fetta, anche piccola, del nuovo benessere che si stava generando a livello macro. Tuttavia, mano a mano che il processo di globalizzazione andava avanti e spingeva giù i prezzi di produzione, la ricchezza e la società si polarizzava, polverizzando la classe media e creando una classe di emarginati economici e sociali sempre più imponente.

Occorre quindi che il vertice di domani dia una risposta concreta a quanti si sentono oggi esclusi dalla società ovvero hanno visto diminuire le proprie prospettive di essere parte di un processo di crescita e di beneficiare del progresso tecnologico e scientifico che caratterizza parte del mondo moderno.

Quali sono i rischi che corriamo se non si affronta in modo strutturale il problema della disparità economica e sociale che la globalizzazione ha creato?
Che i movimenti estremisti che cercano di affermare la propria esistenza negando i vantaggi della globalizzazione e della moneta unica, facendo leva sul malcontento ed illudendo i cittadini di una pronta soluzione dei problemi una volta disgregato l'euro, riescano a distrarre tutti dalla soluzione del problema che passa per una maggiore uguaglianza sociale ed una diversa distribuzione della ricchezza.

Oggi la confusione politica che si è creata in Gran Bretagna a seguito del Brexit può diffondersi nel continente se prevalgono gli interessi nazionalistici in vista delle prossime elezioni di Francia e Germania. Saranno i temi quali la maggiore flessibilità economica e finanziaria degli Stati Membri a dominare le discussioni domani, oppure finalmente si darà avvio ad un vero e proprio piano Marshall per l'economia europea e dei paesi dai quali i flussi migratori provengono? Si deciderà finalmente di accompagnare l'azione della Banca centrale europea con politiche di bilancio? Si inizierà ad utilizzare il bilancio UE per emettere titoli in grado di finanziare missioni economiche e sociali nei paesi dai quali la guerra fa emigrare milioni di persone? Si capirà che le regole sugli aiuti di Stato servono per livellare le disparità e non per crearne delle altre nell'interesse dello sviluppo comune dell'Europa e non dei singoli paesi?

Sono cattolico credente e pregherò perché uno spirito costruttivo e rinnovatore, ispirato ai veri valori della carta europea di Ventotene sia presente all'incontro di domani.