domenica 26 ottobre 2014

Il nostro compito? Ricostruire l'Italia.


Ho appena letto il nuovo post dia Gustavo Piga. Vi dico le mie impressioni, con riferimento all'Italia e alla sua (mancanza) di strategia di politica economica.  

Siamo in recessione. Ci sono segni di deflazione. Pochi gli investimenti pubblici e gli sforzi per creare un nuovo sistema scolastico. Il PIL potenziale vicino a quello effettivo, senza segni di inflazione e con elevata disoccupazione, segnala che il sistema si sta modificando. I settori trainanti dell'economia non riescono a bilanciare - sopratutto in termini di occupazione - quelli in declino o che stanno scomparendo.

Quale sarà il nuovo punto di equilibrio del sistema credo che sia impossibile saperlo e ancora più vano pensare di poterlo determinare; il sistema dei prezzi relativi prima o poi provvederà a fare in tutto o in parte il suo lavoro e le forze di lungo periodo (la tecnologia, la demografia, e altri fenomeni antropologici) tracceranno la via. 

Il compito della politica economica in questi frangenti è quello di rendere più semplice e meno costosa la transizione dal vecchio al nuovo regime economico e di consentire che il cambiamento avvenga rapidamente. Le questioni sono: 

Quindi le questioni a me sembrano soprattutto tre. Due per consentire la ricostruzione del capitale fisico e imprenditoriale. Una per favorire la ricostruzione del capitale umano e sono:

1. disintermediare per quanto possibile e subito il sistema bancario
2. abbassare le tasse, riformando seriamente il settore pubblico, diminuendone l'atrofia
3. E, infine, guardando al futuro, intervenire sul sistema educativo

Il compito che abbiamo davanti si chiama ricostruzione del sistema Italia.  Perché se non lo facciamo noi, qualcuno ci verrà a dirci come fare. E non è la stessa cosa. 

domenica 12 ottobre 2014

Alcune idee per il rilancio dell'economia

Con Gustavo Piga abbiamo già lanciato sui nostri blog e sul Il Foglio un'idea per sostenere le piccole e medie imprese. Si trattava di un prestito a tassi molto bassi per favorire programmi di crescita e di investimento. Proseguo nel proporre alcune misure semplici e a costo zero. 
Purtroppo, ci siamo abituati da tempo a non cercare soluzioni semplici che riguardano le nostre piccole medie imprese. Andando a guardare gli interventi di politica economica effettuati gli ultimi anni vediamo interventi studiati per le imprese, come il bonus aggregazioni o gli incentivi alla ricerca e sviluppo, ovvero l'ACE. Ma nulla studiato specificamente per le piccole e medie imprese. 
Il discorso che comunemente si affronta nel parlare delle piccole imprese è quello di favorire la crescita dimensionale, ritenuto da molti un nostro punto debole. Tuttavia, dopo sette anni di crisi, le piccole medie imprese hanno bisogno di rafforzarsi prima di poter pensare allo sviluppo e alla crescita. In questo momento manca sia il credito alle piccole medie imprese sia le commesse pubbliche e private in grado di farle sopravvivere.
In questi casi occorre una risposta di politica economica. 
La prima misura sarebbe quella di studiare l'intervento di CONSIP in favore delle piccole e medie imprese favorendone l'accesso agli appalti pubblici, nel rispetto delle regole Europee e in modo tale che, nel medio periodo, gli appalti pubblici incentivino le nostre piccole imprese ad aggregarsi e a diventare più grandi. Non saremmo i primi a fare questo tipo di politica nel mondo.
Seconda misura di politica economica che ritengo auspicabile è quella di creare una banca per il credito alle piccole imprese che si collocherebbe in un segmento di mercato oggi non coperto dalle banche straniere ne' dalle banche nazionali. Segmento di mercato che, tuttavia, vede l'interesse di molti investitori che oggi non hanno strumenti ed intermediari per raggiungere le piccole imprese. La banca fornirebbe quei servizi, indispensabili alla crescita dimensionale, che oggi il mercato non offre perché poco remunerativi. 
Infine, grazie ai capitali rientrati e frutto di evasione, costituire un fondo d'investimento dedicato alle PMI
Misure a costo zero per la crescita. 

giovedì 18 settembre 2014

Riforma della PA: @matteorenzi e @mariannamadia prendete nota

È abbastanza chiaro che la finanza pubblica in Italia soffre delle stesse problematiche del nostro Paese; è uno dei settori in cui non c'e conoscenza approfondita, nonostante gli apparati preposti al suo controllo siano molteplici. E tutti ne parlano. 
Dalla Ragioneria generale dello Stato, alla Corte dei conti, ai singoli uffici e ministeri di spesa, per arrivare fino alle Commissioni parlamentari e al neo costituito Ufficio parlamentare di bilancio. Tutti ad analizzare i conti pubblici. Nonostante questo imponente apparato amministrativo, che dovrebbe controllare la qualità e la quantità della spesa pubblica non si vedono risultati apprezzabili sul fronte di una migliore spesa pubblica, tant'è che abbiamo sentito l'esigenza di istituire la figura del Commissario straordinario alla spesa pubblica. 

Il problema è che la revisione della spesa dovrebbero farla i singoli Ministri grazie ad una adeguata contabilità, che consenta di capire cosa si spende, quali sono le motivazioni e soprattutto quale risultati si raggiungono. Dunque, il processo della spesa pubblica dovrebbe essere normalizzato e partire da un esame preliminare degli effetti attesi, da un'analisi nel "durante" e quindi, una sintesi finale tecnica, che precede quella politica dove si decide se mantenere una certa spesa oppure no.

Tuttavia, in luogo di mettere un po' di ordine nella contabilità analitica dei Ministeri  si continuano a guardare i dati aggregati, che non danno alcun tipo di informazione per la finalità di cui sopra, ovvero per capire la qualità della spesa pubblica. 
Eppure, a parole, la contabilità gestionale pubblica entra nel sistema già a partire dal 2001. Perché allora non si riesce (o devo pensare non si vuole) analizzare con la dovuta attenzione dove si spende e quindi dove si può eventualmente migliorare?
Come mai Consip continua ad effettuare le sue gare senza adeguata analisi della domanda delle amministrazioni? Perché il nuovo nostro Primo Ministro Renzi continua dire che c'è Grasso che cola da tagliare senza dire dove? Su quali dati si basa?

La verità è che sinora nessuno ha mai messo la testa sulla gestione di una macchina complessa come l'Amministrazione dello Stato, che assorbe risorse e le ridistribuisce in maniera non del tutto controllata, ma spesso sulla base di un pilota automatico.
La fatturazione elettronica, almeno per la spesa corrente, dovrebbero darci una mano a capire dove si spende. I dati potrebbero essere oggetto di  analisi da parte di Consip, per riuscire a capire se c'è un migliore modo di aggregare la domanda pubblica.

Sono sempre più convinto che occorre istituire un'Agenzia unica della spesa, così come si è fatto per le Entrate, che porterebbe nel brevissimo periodo ad un miglioramento netto sul grado di conoscenza e di controllo della spesa. Una serie di organismi e Uffici verrebbero accorpati, contribuendo alla riduzione quantitativa e non qualitativa dei dipendenti pubblici che sono nel Back Office. 
Con l'Agenzia, i singoli ministeri avrebbero il compito di "punto politico ordinante", ovvero di scegliere su che cosa spendere, sia per quanto riguarda le categorie la spesa corrente, sia per quanto riguarda le categorie la spesa in conto capitale.
Tutto il resto, dall'analisi degli impatti, all'impegno di spesa fino a pagamento e successivi controlli, non solo di legittimità ma anche l'efficacia della spesa, sarebbero riuniti all'interno della nuova Agenzia.

Matteo Renzi cerca la riforma della pubblica amministrazione. Parta da una rivoluzione copernicana come questa riforma. Non è difficile concettualmente e da applicare praticamente. Ci sarà volontà politica di cambiare lo status quo?

venerdì 29 agosto 2014

Forza Italiani, reagiamo!!

Rimango abbastanza sconvolto dalla vignetta di the Economist di ieri. Ci sono diversi elementi che a me danno fastidio e che, io credo, debbano far indignare tutti noi.
Il primo l'assenza di molti paesi dell'Unione Europea. Il secondo: la barchetta di carta che affonda e la Banca centrale europea, che non rappresenta il popolo europeo, l'unica che sembra darsi da fare per salvare la situazione. Il terzo, su cui oggi molti si sono soffermati, é quello del nostro Primo Ministro con il gelato in mano distratto. Vediamoli uno alla volta, insieme.

Il primo. L'assenza di molti paesi dell'area euro nella raffigurazione.  Tutti i Paesi europei stanno sulla stessa barca, fanno parte di un'ampia costruzione, di una tradizione comune e di un futuro insieme. Credo in una Europa che non sia solo un grande mercato comune guidato da (pochi) Paesi, ma che rappresenti un popolo, una forza politica comune. La mancata rappresentazione di tutti paesi dell'area euro è una grave omissione sulla quale tutti noi che amiamo e rispettiamo i nostri fratelli europei non dobbiamo accettare.

La seconda immagine fastidiosa é quella di una barchetta di carta che affonda. Già il fatto di aver scelto la carta per rappresentare la barca europea sta a significare quello che, oltremanica, ritengono sia la costruzione europea: un pezzo di carta. Si può riconoscere come il nostro percorso di unione sia appena iniziato attraverso quella monetaria, ma non è certo finito perché l'Europa deve diventare - e in questo tutti ci dobbiamo sentire impegnati - un'unica area politica. Scegliete se confederazione, federazione o altra forma. Ma dobbiamo andare avanti, uniti. Più tardi avverrà questo processo politico e maggiori saranno i danni che noi europei avremo subito. Data la dimensione degli altri grandi player internazionali - Stati Uniti, Cina, India, Brasile - l'Europa disunita oggi, politicamente conterà sempre meno nelle decisioni internazionali. Questo vuol dire che ben presto non avremo più quel ruolo che noi meritiamo di avere per i nostri valori, le nostre capacità, la nostra forza interiore. Avere unito i nostri destini in una moneta unica è stato un passaggio importante, ma non deve essere considerato l'unico; soprattutto non deve rimanere isolato. Serve una svolta democratica.

La terza immagine, che non dobbiamo accettare, è quella del nostro Primo Ministro rappresentato con un gelato in mano, distratto. Quasi a significare la sua non attenzione verso i problemi della "barca" che affonda, distratto ed intento a divertirsi, mangiando un gelato e guardandosi intorno. Il nostro è un Paese fondatore dell'Unione Europea. Mi spingo fino a dire che senza l'Italia, l'Europa  non ci sarebbe mai stata. E dico, e ne sono convinto, che anche voi pensiate lo stesso:  senza l'Italia nessuna costruzione europea è possibile. Con tutti i nostri mali e tutti nostri guai continuiamo ad essere un paese del G8. Il secondo paese manifatturiero europeo. Io credo che la rappresentazione del Primo Ministro italiano distratto, che mangia un gelato, non rende merito a tutti gli italiani impegnati ogni giorno nel mondo, in Europa e nel nostro Paese, per fare in modo che le cose possano andare meglio. Milioni di lavoratori che ogni giorno si alzano e mettono la loro capacità manuale o intellettuale a favore degli altri.

Ora non basta lamentarsi. Bisogna immaginare una reazione che non può essere e non dev'essere quella di uscire dall'euro o quella di non rispettare i patti. Deve essere quella di combattere per cambiare le regole, per costruire definitivamente l'Unione Europea, per consentire al nostro Paese di essere - ora non tra dieci anni - leader della nuova Europa.

Europa fondata sulla democrazia, con un Parlamento che può prendere decisioni, imporre politiche, nominare un governo.

Abbiamo già fatto in parte consentendo nostro Paese per avere una grossa rappresentanza all'interno dell'attuale Parlamento. Lo stiamo facendo costruendo un'asse Draghi-Napolitano-Renzi. Non basta la  risposta ironica del premier Renzi che offre gelati a tutti. Confidiamo adesso in questi nostri rappresentanti al Parlamento Europeo, perché sappiano contribuire alla costruzione dell'Europa.

lunedì 25 agosto 2014

Matteo vuoi la revisione della spesa? Cambia la PA

La copertura di nuovi provvedimenti di spesa, riducendo altre spese sembra una cosa impossibile in Italia. 
Normalmente l'Amministrazione dovrebbe, al netto delle spese per il suo funzionamento, analizzare la spesa verso l'economia e decidere se mantenere una politica ovvero reindirizzarne le risorse. Dovrebbe.  
Da noi si è consolidata la spesa a strati. Quello che si spende a favore di una certa politica, non si tocca. Anzi si incrementa. Anche se non produce gli effetti desiderati, che nessuno analizza, neppure il sommo sacerdote dei conti, la RGS, la Corte dei Conti o il nuovo Ufficio Parlamentare di Bilancio. 
Ecco allora inasprimenti di tasse o i tagli lineari. Nessun ministro si prende la briga di analizzare la qualità della spesa del suo dicastero. Perche? Perché ci sono troppi impiegati nella gestione della macchina (uffici risorse o del personale che dir si voglia, ovvero Back Office e pochi sul front Office (operativi) e nei Middle Office (analisi, studi, ricerca). 
Iniziamo allora ad unificare tutti i Back Office dei vari ministeri. Perché ciascuno deve avere una amministrazione del personale a se stante? Mistero. Forse si deve nascondere qualcosa? Forse si hanno trattamenti economici differenziati? Altro? Questo sarebbe un primo risparmio da revisione della spesa. 
Seconda mossa. Assumere giovani economisti nei Middle Office. Iniziare a far analizzare la spesa per quello che produce. Se da gli effetti desiderati. 
Non serve un commissario alla revisione della spesa, serve una diversa organizzazione delle Amministrazioni. 

domenica 24 agosto 2014

Forza Matteo! Servono misure non convenzionali in politica economica.

In un momento di crisi quale quello attuale, che certo ha superato tutte le aspettative e sopratutto non risponde alle normali "cure" occorre qualcosa di diverso. Lo ha detto Mario Draghi, quasi condizionando le misure non convenzionali della BCE alle riforme strutturali nei singoli Paesi.

Con Gustavo Piga abbiamo cercato di aprire il dibattito su strumenti non convenzionali che, nel rispetto del famigerato rapporto deficit / PIL possa essere di sostegno al sistema produttivo. O a chi decide di fare impresa nel nostro Paese. Basta con fantasiosi fanta-fondi-immobiliari o inasprimenti di tasse.

Non sono sorpreso che nessuno abbia ripreso e criticato l'idea di emettere titoli di Stato, indicizzati al PIL, per concedere prestiti alle PMI. Il cuore produttivo del Paese. Perché in Italia si è abdicato alla politica industriale. Lo stesso era accaduto, in parte, per una proposta del segretario della CGIL, lanciata due  anni fa. Susanna Camusso, in una intervista di Massimo Franchi (19 agosto 2012) dal titolo "Lo Stato intervenga e compri aziende in crisi", ipotizzava l'intervento della CDP per comprare quote di società per poi ricollocarle sul mercato a crisi finita. Forse si riferiva al Fondo Strategico? Altra ipotesi della Camusso era però quella di intervenire "finanziando direttamente progetti industriali che ci consentano di mantenere in Italia settori fondamentali." Qui tutto tace. Eppure l'evidenza empirica su quanto importante sia il sostegno pubblico per l'innovazione (pensate a Internet) non manca. Leggete The Enterpreneurial State di Mariana Mazzuccato e fatevene un'idea.

Non si tratta di tornare a produrre le sigarette. Si tratta di orientare e sostenere le imprese private nei settori innovativi ad alto valore aggiunto. Lo fanno negli Stati Uniti, in Germania. Perché noi no?!

Qualcosa di non convenzionale. Come Mario Draghi con la politica monetaria. Questo non a detrimento delle riforme ritenute necessarie, ma a sostegno delle stesse.

La prima riforma è quello dello Stato, del modo in cui amministra la cosa pubblica. Ci sono molti, moltissimi civil servant bravi; ma fronteggiano un sistema di burocrati e di norme che fa paura. È molto più facile bloccare le cose che farle camminare. Meno rischi, sopratutto se si rimanda il problema sul tavolo di altri, per allungare i tempi, per evitare di decidere. Mettere dubbi, sollevare critiche, magari utilizzando la tradizionale corrispondenza, in luogo di un modo di lavoro che privilegi il confronto e la risoluzione diretta dei problemi. Il mondo però non aspetta.

Occorre tornare a fare in modo che lo Stato crei le necessarie condizioni perché tutti - e dico tutti - possano trovare la propria strada. Possano scegliere.

Uno Stato dove le idee siano discusse (e non polemicizzate); dove il confronto delle opinioni sia il modo più democratico per scegliere. In favore di tutti.

venerdì 15 agosto 2014

Il Piano Marshall per l'Italia delle PMI

Oggi, sul Foglio, con Gustavo Piga

La sfida più importante che l'Italia e il suo Governo hanno davanti è quella di tornare a crescere. Dopo i dati deludenti sul Pil nel secondo trimestre e il richiamo di Moody's si sono fatte più frequenti, sui giornali e sui blog, proposte e ricette, più o meno valide, per il rilancio del Paese.

L’Italia sembra stretta in una morsa mortale tra parametri europei, riforme strutturali e stagflazione. Cosa fare allora? E’ ancora possibile rispettare i criteri di spesa e di deficit imposti dall’Unione europea e rilanciare l'economia?

In attesa che si definiscano nuovi parametri di flessibilità, magari legati agli investimenti pubblici, proponiamo una mossa in linea con la politica monetaria della BCE per stimolare la ripresa degli investimenti privati, quelli che Draghi correttamente identifica come mancanti all’appello in Italia.

Esattamente come quando il Governo è intervenuto per ricapitalizzare le banche italiane con i Tremonti bond e i Monti bond e come ha fatto andando in aiuto della Grecia emettendo debito, proponiamo di utilizzare nuove risorse prese a prestito esplicitamente ed esclusivamente per sollecitare la ripresa interna e europea.

Un Piano Marshall italiano per l’Italia, a favore dell’Europa e della sua sopravvivenza, che preveda l’emissione di debito sul mercato per fare prestiti alle piccole e medie imprese che desiderano avviare, in Italia, programmi di sviluppo, ricerca e investimenti produttivi. Prestiti che, in questo momento, nemmeno la BCE con la sua politica riesce a far pervenire al sistema imprenditoriale via banche, dati i tassi troppo alti e la carenza di domanda interna.

Per questo proponiamo di emettere fino a 16 miliardi di titoli (1% del PIL) indicizzati all’andamento del PIL stesso - e dunque attualmente con un costo estremamente basso per le imprese vista la deflazione e la recessione in cui siamo intrappolati - ed indirizzati esclusivamente a raccogliere risorse per finanziare investimenti privati realizzati da PMI che intendono innovare ed esportare. E’ dunque un’emissione di debito destinata non a finanziare la spesa pubblica corrente, come avviene con le consuete emissioni, ma per far ripartire la crescita oggi e a sostenerla in futuro, esattamente là dove par essersi incagliata. I denari si renderebbero disponibili a tutte quelle imprese che, senza troppe condizioni, sono disposte a crescere investendo sul loro futuro, che è poi quello del Paese. Sono evidenti i riflessi positivi sull’occupazione.

Ecco il patto con i cittadini: nuovo debito per investimenti. E se le imprese li scelgono bene (di solito lo fanno), cresce il PIL, ed il loro debito è ripagato con gli interessi.

Ovviamente è importante capire come potrebbe reagire ad un piano di questo tipo la Commissione europea, che ne valuterebbe l’impatto contabile sulle grandezze di finanza pubblica ancor prima che sulla crescita economica.

L’impatto sul deficit pubblico sarebbe nullo, perché la spesa per interessi dello Stato sarebbe coperta dalle entrate degli interessi pagati dalle imprese. Addirittura, inizialmente, essendo i bond indicizzati ala crescita del PIL che è oggi nulla o negativa, Stato ed imprese non pagherebbero interessi. L’impatto sul deficit potrebbe nascere successivamente, per eventuali perdite dovute a quelle imprese che non restituiscono i prestiti. Le imprese con crediti non ancora pagati da parte della pubblica amministrazione pagherebbero gli interessi ed il capitale nella misura in cui questi superano l’ammontare del loro credito. E quando l’economia riprenderà ed il costo del debito salirà, le imprese saranno in grado di ripagarlo, in quanto sono cresciute loro stesse.

Nella posizione finanziaria netta del settore pubblico non si avrebbero sostanziali modifiche: tanto prendo a prestito, tanto presto. Tuttavia, siccome il debito in Europa è contabilizzato al lordo degli attivi, si avrebbe un peggioramento statistico del debito nominale, ma nella misura in cui i prestiti riavviano la produzione industriale, l’impatto dell’emissione verrà riassorbita dal rapporto debito/PIL grazie alla crescita del prodotto interno via investimenti, oggi al lumicino.

Questa misura, oltre ad avere un impatto neutro sul deficit pubblico, ha il vantaggio di essere operativa con i tempi tipici di una decisione dì investimento del mondo privato; ed aiuterebbe in ultima analisi anche il sistema bancario visto che genererebbe la ripresa di tanti suoi clienti, disincagliando credito bloccato ed avviando un circolo virtuoso di sviluppo.

La misura potrebbe essere ritenuta un “aiuto di Stato” da parte dell’Unione Europea? Ci sono ampi margini discrezionali della Commissione per giudicare quest’intervento come compatibile con il mercato comune; esso persegue obiettivi di interesse europeo (la formazione, la lotta alla disoccupazione, l'incremento delle attività di ricerca, sviluppo e innovazione, la tutela delle PMI) in un Paese fondamentale per la tenuta dell’Unione e dell’euro. L'Unione si fonda sui valori della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani. Tutti valori che non possono essere soddisfatti se non attraverso lo sviluppo economico. Il rischio di non far nulla non è forse peggiore?

Secondo l'Istituto Piepoli, in una ricerca presentata nella sala Nassirya del Senato della Repubblica il 6 Agosto scorso, gli Italiani sarebbero disposti a dare credito (ulteriore) al Paese. Sfruttiamo quest’apertura.
Jacta alea esto.

giovedì 14 agosto 2014

Europa esci dallo stallo economico! Coraggio!

I dati di stamane sulla crescita economica nei Paesi Europei non fanno altro che confermare le nostre preoccupazioni. L'austerità non sempre è la ricetta giusta.

Oggi Mr. Sapin, il ministro delle finanze francese ammette di dover rivedere i target di deficit per il 2014 e il 2015 causa minore crescita. Non è stato neppure sfiorato dall'idea di una manovra correttiva. Sa che minore spesa o maggiori tasse non possono che peggiorare la situazione.

Ora la Francia aveva già avuto due anni di delay dall'Europa per rientrare nel tetto del 3%. Qualcuno teme che chiedere un anno in più possa ridurre la credibilità della Francia agli occhi dei partner europei.

La verità è che ora tutti hanno capito che non si deve tenere il mantra dell'austerità a tutti i costi, solo che hanno paura ad impostare qualcosa di nuovo. Bisogna avere coraggio ora nel cambiare un atteggiamento che sta distruggendo il vecchio continente.

Abbiamo bisogno di un nuovo Piano Marshall in Europa. Solo che stavolta non possiamo aspettare che qualcuno venga in nostro aiuto. Siamo grandi abbastanza; non forse così coraggiosi come dovremmo.

domenica 3 agosto 2014

Se il calafataggio diventa un'arte perversa.

I calafati erano una casta potente nella Repubblica marinara di Venezia. Si occupavano di impemiabilizzare le navi. Arte difficile, con pece e canapa dovevano rendere sicuro il viaggio dei galeoni, militari e commerciali. Alla loro arte era affidato il successo o la sconfitta della Repubblica marinara.

Anche oggi i calafati sono molto potenti. Ma lavorano per impemiabilizzare il Paese dalle riforme. Chi li chiama burocrati, chi lobbisti, chi senatori, chi mandarini, ma in realtà si tratta di una trasversale organizzazione spontanea e indifferenziata che vuole mantenere lo status quo.

Diciamolo: il Paese non vuole cambiare. Come scrisse Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo unico libro "il gattopardo" , se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi!

Dati gli avvenimenti di questi giorni, delle due l'una. O il sistema dei calafati ha veramente paura del cambiamento, e questo vuol dire che Renzi incarna il vero cambiamento, oppure i calafati hanno trovato un loro gattopardo che cambia tutto per non cambiare nulla.

Io penso siamo di fronte ad un vero cambiamento. È i calafati moderni stanno avendo paura. Almeno in cuor mio lo spero.

domenica 6 luglio 2014

Una cosa che manca nel dibattito politico. Rilancio della PA


Leggo stamane lo stimolante articolo di Scalfari su La Repubblica e inizio a riflettere su quanto propone. Anche stavolta ha ragione: perché parlare di riforma del Senato quanto il blocco all'attuazione delle politiche è nella lenta burocrazia che non riesce a chiudere i decreti attuativi, necessari a far produrre effetti alle leggi approvate dal Parlamento? 

Ma la riflessione che l'articolo di Scalfari mi fa venire in mente dopo averci riflettuto ancora (questo è l'effetto di un articolo ben fatto, genera riflessioni) è: ma abbiamo veramente bisogno di norme che richiedono così tanti decreti attuativi? 

Non è che la norma non affronta i nodi  in modo chiaro e scarica sul decreto attutivo scelte (politiche) che invece andavano fatte nella norma? 

Nel mio ideale di norma, il testo che esce dal Parlamento dovrebbe indicare lo scopo, il tempo nel quale il risultato è atteso, qual'è l'Amministrazione che deve gestire il processo, definire se c'è un momento nel quale il Parlamento vuole essere informato e lasciare che sia l'amministrazione a raggiungere l'obiettivo. 


Qui comincia l'avventura però. Per avere minori attriti durante la discussione che porta alla stesura e all'approvazione della norma, si preferisce rimandare la definizione di un chiaro obiettivo da raggiungere; spesso non lo si vuole dichiarare. Si preferisce rimandare a un regolamento o a un decreto attuativo (i due temini hanno una ben precisa conseguenza). A questo punto entra in gioco la burocrazia, che prevale sull'Amministrazione, che per difendersi dalle responsabilità erariali o penali, e per avere un potere che non le spetta, inizia a chiedere che la norma sia più "precisa", "spieghi meglio l'ambito" ovvero la trasforma in un procedimento, svilendo il suo valore politico, di portata generale. 


E a questo punto la frittata è fatta. La norma non è attuabile senza un decreto, ma il decreto fa a cazzotti con alcune parti procedimentali previste dalla norma, servono emendamenti al testo legislativo, si pospone l'applicazione della norma. La misura non entra mai in vigore. 


Per ottenere risultati dalla burocrazia, occorre far vincere l'Amministrazione. Per far vincere l'Amministrazione, occorrono norme semplici e un cambio generazionale. Occorre formazione; occorre tutela, che dovrebbe arrivare da quell'organismo - la Corte dei conti - che oggi invece è fatta somigliare dalle norme ad un cane rabbioso pronto ad azzannare il funzionario pubblico, ma anche dall'opinione pubblica che da una buona amministrazione ha tutto da guadagnare. 


mercoledì 2 luglio 2014

L'Europa che vorrei

Il livello di conoscenza cittadini materia di decisioni politiche dell'Unione Europea è molto bassa. Chi decide cosa, come vengono definiti e poi spesi i fondi strutturali, cosa implica un regolamento europeo, sono tutte questioni non meramente tecniche, ma chiaramente politiche delle quali i cittadini europei hanno diritto di conoscere di più.

Se vogliamo un'Europa attiva, vi è la necessità di cittadini che abbiano la possibilità di confrontarsi con il governo europeo sulle decisioni, in modo da indicare - attraverso i suoi rappresentanti in Parlamento - gli obiettivi e i bisogni. Queste elezioni europee hanno già segnato un punto di svolta, in quanto gli era l'indicazione del presidente della commissione, ma non basta. Per molto, troppo tempo, ci hanno detto che le decisioni di Bruxelles erano tecniche. Ma non c'è nulla di più politico di decisioni che incidono giornalmente sulla nostra vita sociale produttiva ed economica. Non c'è nulla di più politico di una decisione presa a Bruxelles, da persone che dovranno essere controllate e indirizzati da chi ha un mandato popolare, il Parlamento europeo.

Giovedi’ 3 luglio partirà ufficialmente la campagna raccolta firme per il Referendum contro l’ottusa austerità.  Promosso, definito, voluto dai viaggiatoriinmovimento, il referendum è un modo per i cittadini europei che vivono in Italia di dire la loro su di una delle decisioni più importanti che sono state prese negli ultimi anni dall'Unione Europea. Chi partecipa alla raccolta delle firme e consente di svolgere il referendum, si interroga se l'Europa che vuole, se l'Italia che vuole, è quella che c'è oggi o quella che dobbiamo finire di costruire insieme. Si interroga se l'Europa di oggi e quella che dal 2007
ha 7 milioni di disoccupati in più, ha perso 3 i punti percentuali di prodotto interno lordo e ha 30 punti percentuali di debito pubblico in più, senza contare l'incremento dell'indebitamento privato.


Chi firma per il referendum ha capito che oggi paghiamo i costi economici e sociali delle contraddizioni dell'unione europea che ha alla sua base lo sviluppo economico e la coesione corsine sociale. Voglio un'Europa dove ci sia  libertà di portare avanti  i propri progetti. 

domenica 15 giugno 2014

Italia Unica. Vecchie idee per un Paese che ha bisogno di fatti. Di viaggiatori in movimento

Ho letto velocemente il programma di Italia Unica. Non mi ha colpito. Leggetelo e capirete che si tratta di carne trita e ritrita. Molto ben scritto, ma nulla di nuovo sotto il sole.
Esempi?
Meno e migliore burocrazia, cura shock con 400 miliardi (che arrivano in parte dalla solita Cassa Depositi e Prestiti e dalle spese inutili). Ora tutti parlano si spese inutili, ma nessuno riesce a ridurle. Boh.
Per ridurre il debito puntano sulla crescita del PIL e la riduzione delle tasse (ma il fondatore del movimento non era al Governo con chi le tasse le ha continuate ad aumentare?).
Alcune cose sono state già fatte (accorpamento delle centrali d'acquisto) o tentate (disboscamento degli enti inutili) o in corso (aggiornamento del catasto).
Per non parlare del patrimonio pubblico: far emergere tutto il patrimonio (il MEF ha dal 2011 tutti i dati) e creare un fondo immobiliare per la valorizzazione (ma si sono accorti che si tratta di qualcosa in corso di realizzazione?).
Mi piace il metodo, lo stesso dei iviaggiatorinmovimento.it. Si può contribuire al programma. Ma per cortesia, contribuite a qualcosa di nuovo! Il programma dei viaggiatori è a disposizione di qualunque forza politica lo voglia realizzare!

domenica 8 giugno 2014

Una CONSIP anche per i lavori? SI!

Alla fine degli anni nuovanta si arrivó alla chiusura del provveditorato generale dello Stato e gli acquisiti furono affidati alla CONSIP. Nessuno lo disse, ma il nuovo meccanismo avrebbe dovuto portare con se risparmi e meno corruzione. Sembra abbia funzionato, almeno non ci sono stati scandali per corruzione legati agli appalti in CONSIP. Lezione: potremmo accentrare anche i lavori pubblici in una società specializzata. È i provveditori ai lavori pubblici? Non si capisce perché i lavori del Mose sono stati affidati a una società, il consorzio Venezia nuova, e non ai provveditori. Ah dimenticavo. Anche i lavori di expo non sono eseguiti dai provveditori ai lavori pubblici, ma da una società appositamente costituita. Ma allora perché non creare una CONSIP per i lavori pubblici. Che faccia della professionalità e della trasparenza il suo mantra. Matteo pensaci.

mercoledì 4 giugno 2014

Non lasciamo che i nostri giovani siano come Pompei

Guardando al futuro dell'Italia non posso che pensare al nostro passato. Anche oggi la sfida che ci consente di crescere e creare occupazione è fare leva sull'innovazione. È sempre stato così; pensate ad Appio Claudio che da censore dell'antica Roma diede l'avvio alla costruzione di quella che conosciamo come via Appia, che all'inizio doveva collegare Roma a Capua. Finì col collegare Brindisi, consentendo di avvicinare l'Oriente a Roma. Quella che era un'idea innovativa (strade per collegare l'Impero) divenne un'opportunità di sviluppo. Oggi le idee innovative vengono dai giovani e l'esigenza è crescere per creare posti di lavoro, delle nostre PMI e sullo straordinario potenziale del nostro Paese. Siamo uno dei soli 5 Paesi al mondo con surplus commerciale manifatturiero superiore a 100 miliardi di dollari. Il fatturato estero manifatturiero è cresciuto del 16,5% dal 2008 (Fonte Unioncamere). Ci sono piccoli segni di ripresa. Allo stesso tempo però, ieri, ci hanno ricordato che abbiamo perso ulteriori 600.000 posti di lavoro. La ripresa non è così robusta, tanto da creare posti di lavoro. Forte però rimane l'importanza dei distretti industriali. È qui che il sistema Italia ha resistito alla crisi. E da qui dobbiamo partire: PMI innovative, aiutate ad entrare nel mercato, affacciarsi su quello internazionale. Imprese che sono attente al bilancio, ma che sono integrate nel territorio e danno lavoro a migliaia di persone, ai giovani creativi di cui siamo ricchi. Non facciamo come Pompei: non lasciamo cadere la creatività dei nostri giovani a terra, ma lasciamoli produrre sviluppo per l'Italia. La storia ce lo chiede.

giovedì 29 maggio 2014

Procurement pubblico. Occasione per la crescita.

Stamane al #FPA2014 si è parlato anche di procurement pubblico. L'evento inserito nella sezione "revisione della spesa" ha però toccato profondamente il tema della crescita. Sono stati sopratutti il prof. Piga e la D.ssa Bedin a sottolineare il collegamento tra Public procurement e crescita.
Il tema però è apparso anche negli altri interventi, focalizzati su domanda, offerta, organizzazione del procurement, policy making.

La D.ssa Bedin ha ricordato che la spesa per apparti è il 17% del PIL; destiniamo una parte degli appalti pubblici in appalti di innovazione. Questa è la proposta emersa oggi. Si tratta di 50 miliardi di euro per incentivare ricerca e sviluppo nel nostro Paese. Infatti, se c'è domanda, il mercato reagisce e prova a fornire soluzioni. E se le soluzioni richieste sono altamente innovative (pre commercial procurement) la domanda pubblica diventa un fenomenale incentivo a strutturare nuove soluzione. In altre parole la PA deve determinare l'innovazione, ottenendo la riduzione del costo finale della soluzione. Questo approccio supera - a certe condizioni - il tema dell'aiuto di Stato e favorire la crescita.

Il prof. Piga ha parlato delle sfide che Public procurement pone. Intanto recepire la nuova direttiva in modo intelligente. Per esempio la decisione tra cose da recepire e quelle non da recepire, che tradiscono una certa "schizofrenia" tra controllo e discrezionalità. Recepimento delicato, quindi.
Poi occorre affrontare le urgenze del Paese. La recessione, che fa uscire dal mercato le PMI e genera disoccupazione. La proposta è di riservare alle PMI una quota degli appalti come fanno da anni gli USA e da poco tempo UK.



mercoledì 28 maggio 2014

La cosa più importante che ha detto ieri il min. Madia

Ieri ho seguito quanto il ministro Madia ha detto al Forum PA. La cosa che mi ha colpito - e che non viene riportato dai giornali - è che il ministro ha chiara la difficoltà del suo compito e che occorre procedere velocemente, ma in modo sequenziale. Ovvero secondo un progetto complesso, suddiviso in tappe, che però velocemente vengono raggiunte  e superate. Questo è il punto centrale di ogni riforma: avere un progetto e seguirlo fino in fondo.

martedì 27 maggio 2014

Cosa si chiede alla PA oggi? Lo spiegherà oggi il ministro Madia al Forum PA. Starò a sentire. Intanto vi dico la mia.
L’amministrazione pubblica è un fattore di crescita, ma può diventare un freno se non entra in sintonia con i bisogni del Paese. Questo dipende prima di tutto dal fatto che la politica non era (parlo al passato nella speranza che qualcosa sia cambiato) in sintonia con il Paese e quindi o trasmetteva "falsi" input alla PA ovvero input "di parte". La PA, poi, in questo contesto confuso e distaccato, si è creata spazi e norme che ne giustificano l'inefficienza e l'inefficacia. Ripartiamo deforestando le leggi e puntando su una PA qualificata e professionale. 

lunedì 26 maggio 2014

Elezioni Europee

Siamo in attesa di capire cosa accadrà in Europa dopo questa tornata elettorale. Cosa accade in Italia lo abbiamo capito oggi dalla conferenza stampa del primo ministro. "L'Italia deve crederci e tornare a volare alto in Europa; questo è un voto che torna a farci sperare" ha detto il Primo ministro.
L'Italia, però, deve tornare a lavorare sodo per il suo futuro. Deve tornare a lavorare in Europa, per l'Europa, per l'Italia. Questo perché, come diciamo spesso negli incontri  dei Viaggiatoriinmovimento, "se non sei seduto a tavola sei sul menù". Se non ci impegniamo e lavoriamo sodo per il nostro futuro, saremo terra di conquista per chiunque. Ma soli, oggi, nel mondo globalizzato, non potremmo comunque farcela. È per questo che l'Italia non può essere marginale nell'Europa, né l'Europa può essere marginale per l'Italia. Bisogna, quindi, meritarsi un posto di primo piano in Europa; si apre una fase interessante per il nostro Paese. Sfruttiamola al meglio.

domenica 25 maggio 2014

Semplificazione: dove sei?

Ieri abbiamo affrontato uno degli snodi più importanti della democrazia. Le elezioni. Si trattava di quelle Europee. Problema: per votare devo avere la scheda. Dramma! Tra quelle "full" cioè tutte utilizzate, smarrite, o non consegnate in tempo ai neo-diciottenni è stato assalto agli uffici comunali per farsi emettere il duplicato. Grazie a chi ha lavorato ieri per consentire a migliaia di persone di votare, ma non potevamo non sostenere questi costi e evitarci le file per poter esercitare il diritto di voto? Eppure un modo ci sarebbe.
Avete fatto caso che al seggio gli scrutatori hanno un elenco che utilizzano per cercare il vostro nome. Se non avete diritto di voto, non siete sull'elenco. Allora non basta il documento d'identità e la verifica dell'elenco? Serve la tessera elettorale?