domenica 6 luglio 2014

Una cosa che manca nel dibattito politico. Rilancio della PA


Leggo stamane lo stimolante articolo di Scalfari su La Repubblica e inizio a riflettere su quanto propone. Anche stavolta ha ragione: perché parlare di riforma del Senato quanto il blocco all'attuazione delle politiche è nella lenta burocrazia che non riesce a chiudere i decreti attuativi, necessari a far produrre effetti alle leggi approvate dal Parlamento? 

Ma la riflessione che l'articolo di Scalfari mi fa venire in mente dopo averci riflettuto ancora (questo è l'effetto di un articolo ben fatto, genera riflessioni) è: ma abbiamo veramente bisogno di norme che richiedono così tanti decreti attuativi? 

Non è che la norma non affronta i nodi  in modo chiaro e scarica sul decreto attutivo scelte (politiche) che invece andavano fatte nella norma? 

Nel mio ideale di norma, il testo che esce dal Parlamento dovrebbe indicare lo scopo, il tempo nel quale il risultato è atteso, qual'è l'Amministrazione che deve gestire il processo, definire se c'è un momento nel quale il Parlamento vuole essere informato e lasciare che sia l'amministrazione a raggiungere l'obiettivo. 


Qui comincia l'avventura però. Per avere minori attriti durante la discussione che porta alla stesura e all'approvazione della norma, si preferisce rimandare la definizione di un chiaro obiettivo da raggiungere; spesso non lo si vuole dichiarare. Si preferisce rimandare a un regolamento o a un decreto attuativo (i due temini hanno una ben precisa conseguenza). A questo punto entra in gioco la burocrazia, che prevale sull'Amministrazione, che per difendersi dalle responsabilità erariali o penali, e per avere un potere che non le spetta, inizia a chiedere che la norma sia più "precisa", "spieghi meglio l'ambito" ovvero la trasforma in un procedimento, svilendo il suo valore politico, di portata generale. 


E a questo punto la frittata è fatta. La norma non è attuabile senza un decreto, ma il decreto fa a cazzotti con alcune parti procedimentali previste dalla norma, servono emendamenti al testo legislativo, si pospone l'applicazione della norma. La misura non entra mai in vigore. 


Per ottenere risultati dalla burocrazia, occorre far vincere l'Amministrazione. Per far vincere l'Amministrazione, occorrono norme semplici e un cambio generazionale. Occorre formazione; occorre tutela, che dovrebbe arrivare da quell'organismo - la Corte dei conti - che oggi invece è fatta somigliare dalle norme ad un cane rabbioso pronto ad azzannare il funzionario pubblico, ma anche dall'opinione pubblica che da una buona amministrazione ha tutto da guadagnare. 


mercoledì 2 luglio 2014

L'Europa che vorrei

Il livello di conoscenza cittadini materia di decisioni politiche dell'Unione Europea è molto bassa. Chi decide cosa, come vengono definiti e poi spesi i fondi strutturali, cosa implica un regolamento europeo, sono tutte questioni non meramente tecniche, ma chiaramente politiche delle quali i cittadini europei hanno diritto di conoscere di più.

Se vogliamo un'Europa attiva, vi è la necessità di cittadini che abbiano la possibilità di confrontarsi con il governo europeo sulle decisioni, in modo da indicare - attraverso i suoi rappresentanti in Parlamento - gli obiettivi e i bisogni. Queste elezioni europee hanno già segnato un punto di svolta, in quanto gli era l'indicazione del presidente della commissione, ma non basta. Per molto, troppo tempo, ci hanno detto che le decisioni di Bruxelles erano tecniche. Ma non c'è nulla di più politico di decisioni che incidono giornalmente sulla nostra vita sociale produttiva ed economica. Non c'è nulla di più politico di una decisione presa a Bruxelles, da persone che dovranno essere controllate e indirizzati da chi ha un mandato popolare, il Parlamento europeo.

Giovedi’ 3 luglio partirà ufficialmente la campagna raccolta firme per il Referendum contro l’ottusa austerità.  Promosso, definito, voluto dai viaggiatoriinmovimento, il referendum è un modo per i cittadini europei che vivono in Italia di dire la loro su di una delle decisioni più importanti che sono state prese negli ultimi anni dall'Unione Europea. Chi partecipa alla raccolta delle firme e consente di svolgere il referendum, si interroga se l'Europa che vuole, se l'Italia che vuole, è quella che c'è oggi o quella che dobbiamo finire di costruire insieme. Si interroga se l'Europa di oggi e quella che dal 2007
ha 7 milioni di disoccupati in più, ha perso 3 i punti percentuali di prodotto interno lordo e ha 30 punti percentuali di debito pubblico in più, senza contare l'incremento dell'indebitamento privato.


Chi firma per il referendum ha capito che oggi paghiamo i costi economici e sociali delle contraddizioni dell'unione europea che ha alla sua base lo sviluppo economico e la coesione corsine sociale. Voglio un'Europa dove ci sia  libertà di portare avanti  i propri progetti.