martedì 25 aprile 2017

Alitalia, il pasticcio è servito. E non è finita...

La fine di Alitalia non è stato segnato ieri dal referendum dei lavoratori, come molti si sono affrettati a dichiarare o scrivere. L'Alitalia è finita quanto, decisa l'alta velocità, la tratta più redditizia - la Milano / Roma - è stata messa sotto pressione dal treno veloce. 

In altre parole, la fine di Alitalia è dovuta alla a mancanza di visione strategica della nostra classe politica che, nel decidere una giusta insfrastruttura, non ha visto più lontano del suo naso e ha mancato di disegnare alleanze e strategie di espansione di quella che all'epoca (anni novanta) era la compagnia di bandiera dell'Italia. 

L'ultima speranza, su di un percorso pieno di errori di strategia industriale e politica, fu il matrimonio con AiR France, che venne fatto naufragare dai "capitani coraggiosi", ancora una volta supportati (o forse sospinti) da una politica miope che vedeva nell'italianità un valore da difendere. 

Ma la miglior difesa è l'attacco, dice un proverbio popolare. Questo è vero sopratutto in economia e le imprese che giocano sulla difensiva vengono spazzate vie dal vento dell'innovazione e dell'aggressività della concorrenza. Ne volete degli esempi o vi basta ricordare Loro Piana e gli altri marchi della moda? Vogliamo ricordare Pioneer, che gestisce i risparmi degli italiani è che ora non è più di proprietà di un'impresa nazionale? 

Ora si tratta di capire solo quale sarà il prossimo obiettivo.

La grande distribuzione. Sì perché se le nostre coop (sono ben 7) o la S lunga non capiscono di essere troppo piccole e non si mettono insieme per un patto strategico di consolidamento e attacco, saranno presto preda di qualcuno più grosso e con denari a sufficienza per comprare le catene di distribuzione italiane. Ed allora vedrete gli scaffali pieni di prodotti esteri, che già sono ben presenti. 

Nulla di male, io amo la concorrenza, ma amo sopratutto l'Italia e mi domando: che ne sarà della nostra agricoltura? Marginalizzata, come sta succedendo a molti dei settori produttivi italiani, dalle banche all'acciaio. 

La soluzione passa per una politica che abbandoni il suo shortermismo e si dedichi a rispondere, seppur tardivamente, alla sfida della globalizzazione. Ne abbiamo la forza (l'Europa) e la capacità (le nostre PMI). Serve solo più coraggio (e meno urli) e visione (e meno slogan) nei nostri politici.