sabato 26 dicembre 2015

Quer pasticciaccio brutto dei subordinati

Il risparmiatore italiano ha scoperto un altro titolo. Il subordinato. Con i rendimenti dei titoli di Stato cui era stato affezionato (e continua ad esserlo per fortuna) poco sotto o poco sopra lo zero (dipende dalla scadenza), il risparmiatore italiano ha cercato rendimento in altri titoli. I subordinati appunto.

Dopo i bond Argentini e i bond Cirio non pensavo potesse succedere ancora. Risparmiatori che perdono i loro investimenti per non aver compreso il rischio.

Ma nessuno - ora come allora - si interroga se ci possono essere altri strumenti finanziari offerti al risparmiatore e che lo possono esporre a rischi non ben evidenziati al momento della sottoscrizione o dell'acquisto. Purtroppo il recinto si chiude solo quando i buoi sono usciti. Troppo tardi.

In attesa che qualcuno si ponga questa domanda, in molti si sono scatenati per risolvere la questione di chi ha sottoscritto questi titoli. E c'è anche ci si pone condivisibili dubbi di costituzionalità della norma (noisefromamerika - bad banks qualche interrogativo costituzionale) che crea questa situazione.

Cerchiamo di andare oltre il problema contingente. I miei piccoli suggerimenti:

1. occorre recuperare la deontologia allo sportello, per non rompere il legame di fiducia tra banca e depositante. Il problema è che per seguire il budget assegnato dalla sede centrale, lo sportello vende anche a chi non ha la possibilità di capire il rischio cui va incontro. Anche se ben spiegato, il rischio non è facile da capire. Altrimenti non si spiegherebbero le varie "bolle", ultima - per ora - quella dei subprime. Non tutti hanno in mente una regola base dell'economia: There is no such thing as a free lunch e ne capiscono fino in fondo le implicazioni. 

2. Utilizzare le regole del mercato. Quotare sempre gli strumenti che sono destinati al cd. retail. E che la quotazione sia effettuata non solo dall'emittente, ma anche da intermediari che si impegnano a quotare a fronte di fee pagate dall'emittente. La quotazione - se seguita - consente di rivelare a tutti le informazioni che sono note agli intermediari. E in caso di problemi, i prezzi scendono. Ora il punto sarà far seguire le quotazioni a chi sottoscrive questi titoli. Mi torna in mente quello che succedeva nel 1929, dove in molti passavano ore nelle borse locali per seguire l'andamento dei titoli. Dato che paghiamo un servizio pubblico (la RAI) è troppo chiedere che ogni telegiornale messo in onda parli di concrete questioni finanziarie?

3. Formazione. Sempre perché abbiamo un servizio pubblico (la Rai) è troppo chiedere che abbia una chiara rubrica sui mercati finanziari e gli strumenti autorizzati alla vendita al retail? Un programma alla Piero Angela o del Maestro Manzi, "Non è mai troppo tardi"?

domenica 6 dicembre 2015

L'Europa che scaccia l'Europa

Alle volte l'Europa sembra non essere consapevole del ruolo che deve giocare nel panorama internazionale. Sembra prigioniera della paura di essere un elemento democratico e liberale nel mondo, un punto di riferimento credibile nel palinsesto che, quotidianamente, va in scena nelle piazze mondiali.

Ecco che allora si discute - ormai in modo inconcludente - della regola del deficit e delle flessibilità legata a improbabili clausole, invece di decidere di seguire politiche economiche coordinate per spingere gli investimenti, specie in R&D, per l'inclusione, per l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Il whatever it takes della politica economica. Se poi questo voglia dire una certa percentuale di indebitamento in rapporto al Pil più alta del numero 3, in Europa e non nei singoli Stati non importa, di fronte alla retorica dei noeurini e alla prospettiva di non essere più in grado di poter giocare un ruolo nel futuro assetto mondiale.

Nel suo incerto futuro, l'Europa si preoccupa di molte cose in modo contrastante, anche al di fuori della finanza pubblica.

Abbiamo bisogno di un'Europa che chiede di intervenire su Ilva a Taranto in un apprezzato ruolo di motivatore di un necessario intervento, ma non si capisce perché la stessa Europa vieta allo Stato italiano di prendersene cura. Ecco che allora nasce il sospetto che l'intervento europeo sia teso a ridurre l'eccesso di produzione in Europa, come ha suggerito Fubini sul Corriere della Sera.

L'Europa ha bisogno di più investimenti. Nasce il Piano Juncker (copia del Piano Barroso di anni prima, pensato quindi in una situazione completamente diversa); deve agire sui fallimenti di mercato. Con una garanzia onerosa (ancora non si sa quanto) e nel rispetto delle regole sugli aiuti di Stato. Ma allora? Siamo o meno in presenza di fallimenti di mercato? Nasce il sospetto che il Piano non nasca per intervenire nei fallimenti di mercato.

Fino a quando non si darà corpo ad un vero Stato federale europeo e si continuerà a parlare di regole e non di policy ho l'impressione che la strada del declino europeo sia inevitabile. 

giovedì 19 novembre 2015

La burocrazia inizia nel Parlamento.

Leggo oggi che finalmente anche l'Italia avrà il codice dei contratti approvato, introducendo anche in Italia le direttive europee. Nell'aprile 2016 però!


La Camera dei Deputati ha infatti licenziato il testo della delega al Governo per introdurre tale novità nel nostro Paese. C'è ancora il passaggio al Senato e, poi, la stesura dei decreti delegati.

La ritengo una buona delega. Un grande passo in avanti. E non sentite quelli che dicono "si poteva fare di più". Questo è vero sempre. 
Ma il punto che vorrei fare oggi è si potevano introdurre le direttive direttamente, già da un anno almeno, senza dover passare per una legge delega, semplicemente trasponendole nel diritto italiano. Ovviamente non è solo per queste Direttive che si procede in questo modo. Ma questo modo di procedere, questo ritardo, pesa sul sistema italiano.
Il problema è che il nostro sistema in questo modo non si adegua rapidamente - almeno a livello normativo - agli standard europei. Non mettendo le nostre imprese nelle condizioni di imparare le nuove procedure, o di seguire le nuove regole e partecipare alla vita economica europea ad armi pari. O peggio, a non affrontare il mercato europeo o avere dei costi amministrativi elevati per seguire procedure diverse in Paesi europei che dovrebbero seguire regole analoghe.
Nel caso specifico, dovremo poi scontare i tempi necessari alle stazioni appaltanti per digerire le modifiche al codice degli appalti. Si dirà che si è presa l'occasione per una riforma complessiva della materia. Il che non toglie che le Direttive potevano essere introdotte subito (come hanno fatto altri Paesi) e poi definire, attorno ad esse, la riforma.

La burocrazia inizia nel Parlamento. Mi viene il sospetto che la burocrazia sia un problema genetico italiano.


martedì 17 novembre 2015

Europa: grande delusione o grande speranza?

Dopo sette anni dall'inizio della crisi (settembre 2008) la situazione economica sembra non essere né brillante, né sulla via della ripresa. 

Perché? 
Perché le cause della crisi sono ancora intatte! Debiti privati e pubblici che non accennano a diminuire; la non corretta allocazione degli investimenti e dei sussidi alla produzione; austerità; demografia; tecnologia che riduce il bisogno di lavoratori e quindi spinge in alto la disoccupazione. Eccetera, eccetera, eccetera. 
Naturalmente, non è un problema solo italiano o europeo. Ma l'Europa fa di tutto per aggravare la situazione, con non scelte e rinvii. 

L'unica arma messa in campo, dal Giappone agli Stati Uniti all'Europa è stato il QE, che però appare ormai insufficiente a dare una spinta decisiva alla ripresa.  
Certo, il QE ha aiutato ad assorbire lo shock, ma ha anche illuso che potesse, da solo, dare impulso ad un nuovo ciclo economico. Come se potesse, di colpo, rimuovere quelle barriere che - normalmente - è la Politica economica ad abbattere. 
Ci eravamo anche illusi (e forse lo siamo ancora) che il QE non avesse costi, anzi. Che aiutasse a comprare tempo, senza effetti collaterali, dando il tempo ai Paesi di coordinare uno stimolo fiscale poderoso. Che non vedo all'orizzonte. 

Nel frattempo, qualche effetto collaterale si registra. La liquidità dei mercati secondari dei titoli si è ridotta (gli Asset sono comprati dalle banche centrali), la liquidità abbondante e i tassi bassi spingono gli investitori a cercare più rischio, con la possibile conseguenza di creare bolle speculative (Corporate Bond nei Paesi emergenti? Il mercato immobiliare in Europa?); ma ancora peggio, si divarica la posizione tra chi non trova lavoro e chi vede il valore dei propri Asset aumentare di valore. E questo in un periodo dove le elezioni non mancheranno (Stati Uniti, Brexit, Francia e Germania) e le tensioni internazionali spingono verso gli estremismi. 

Ancora una volta manca la Politica. La visione della necessità di accelerare verso un'Unione Europea che lasci il governo dei decimali che fa crescere solo i noeurini e si concentri sulla crescita economica e sociale del Continente. 

Io continuo a sperare in un'Europa che sappia rinascere più unita, in un momento di difficoltà che chiama alla coesione sui valori nei quali il nostro continente è fondato. 

sabato 31 ottobre 2015

Vi dico perchè la spending non funziona col Commissario

Quando Tommaso Padoa Schioppa inserì nella legge finanziaria il servizio studi della RGS - su spinta forte di Riccardo Faini - l'idea della spending review era molto diversa da quella che si è poi affermata. L'idea era quella di aiutare le Amministrazioni dello Stato a capire come spendono e instaurare un meccanismo di valutazione in grado di farlo.

Sarebbe stata la fine del budget a spesa incrementale e dei tagli lineari. I due principali strumenti di politica di bilancio utilizzati in Italia e l'inizio di una nuova era. "Value for money" o "efficacia della spesa" sarebbero diventati termini comunemente utilizzati nei ministeri, oggi troppo pigri per capire se stanno spendendo bene o male. La qualità della spesa sarebbe diventato il fulcro della spending review. Adesso avremo un sistema economico diverso e un bilancio pubblico completamente ricomposto.

Se il governo Renzi e il suo Ministro dell'Economia vogliono lasciare il segno in questo Paese, non possono non capire che un Commissario esterno alle strutture ministeriali vive di notizie che gli vengono date da strutture che non vogliono i tagli, o da terze parti pronte a propinare la propria ricetta miracolosa per ridurre la spesa. 

Occorre far riflettere i Ministri su come stanno spendendo, quali risultati volevano raggiungere e quali hanno invece raggiunto. Troppe le leggi di spese che non riportano i risultati attesi; scarso il monitoraggio sui risultati. Meglio controllare lo stato di attuazione dei provvedimenti (quanti decreti attuativi il Governo ha approvato) o stuzzicare i Ministri a capire cosa stanno facendo con i soldi rastrellati ai cittadini?  

La proposta che ho avanzato in questo blog può essere decisiva (Serve una regola alla spesa). Ogni ministro saprebbe in anticipo le risorse di cui può disporre e sulle quali può contare per le politiche a cui è preposto. Dovrebbe fare delle scelte, coadiuvato dalla struttura tecnica del proprio dicastero e dal quello dell'economia. Il Parlamento prima (nella fase di allocazione delle risorse - durante la legge di stabilità) e la Corte dei Conti dopo (a consuntivo, non per punire ma per migliorare la qualità della spesa) potrebbero aiutare nel processo. 

Coraggio, ce la possiamo fare!

venerdì 16 ottobre 2015

La manovra di Matteo e Piercarlo. Peccato manchi una regola per la spesa.

Finalmente una manovra annunciata a favore della crescita. Basta pensare che si poteva fare di più, magari sforando il 3%. Chi bene inizia è a metà dell'opera. 
La riduzione dell'Ires a ben guardare è poca cosa: sono 3.000 euro ogni 100.000 euro di utile tassato (la bottom line). Molto intelligente l'incentivo sugli ammortamenti, copiato dalla legge Macron in Francia, dove ha dato buoni frutti. Ma, come intuisce oggi Forquet sul IlSole24ore, la copertura è evanescente. Qualche una tantum, l'appello alle clausole di flessibilità. Speranza di crescita. 
Manca una regola generale sulla spesa della PA. 
Il mio suggerimento è di introdurre una regola per cui la spesa pubblica non può crescere più dell'inflazione attesa (o programmata se preferite). 
Se i ministri di spesa vogliono più risorse per un intervento piuttosto che un altro, semplicemente dovranno chiedere una diversa allocazione delle risorse. Insomma, fare delle scelte che li espongano al giudizio del cittadino sulla capacità di fare politica nel nuovo millennio. Non basta certo la camicia bianca e non portare la cravatta, ovvero usare il blog per millantare ricette nuove e generose. 
La politica economica è scelta. La politica è visione. La politica è saper sfruttare quello che c'è a disposizione. 
Certo sarebbe la fine delle "mance" che spesso spuntano nelle leggi si spesa. Io non ne sentirei la mancanza. Sarebbe anche il modo giusto di fare Spending review: vedere dove allocare le risorse, riducendole là dove servono meno e farle rendere di più. Lo chiamano Value for Money (i vecchi come me efficiente allocazione delle risorse). 
Inoltre, con una regola semplice sulla spesa, il dibattito si concentrerebbe sulle scelte e non sugli slogan o sulle richieste impossibili. 
Un discorso a parte meritano gli investimenti e la scuola, su cui concentrare le maggiori risorse del Paese. Ma su questi temi torno dopo con un altro post. Intanto, continuiamo a sperare in un'Italia migliore. 

domenica 4 ottobre 2015

L'Europa del benessere è lontana. I Noeurini possono stare tranquilli.

L'UE, così come è fotografata oggi dai dati economici e dalle discussioni su come riprendere il cammino di integrazione economica e politica, è la conseguenza del processo di integrazione sbilenco seguito all'introduzione della moneta unica. 

Grazie a regole contabili da ragionieri - che nulla hanno a che fare con la politica economica - e una politica industriale che impediva agli interventi degli Stati di servire a ridurre le disparità tra sistemi produttivi per crearne uno Europeo - al riguardo vedi il mio post Il caso wolkswagen risveglierà l'Europa) - le differenze tra Paesi europei si sono consolidate. 

I Governi dei diversi Stati dell'Unione, di fronte alla crisi del 2008, hanno reagito diventando sempre più egoisti e tradendo lo spirito dell'Unione. In luogo di capire che erano le regole contabili a non funzionare, i Paesi Membri hanno messo in discussione l'Europa stessa. Conseguentemente, l'Europa si è mostrata lenta ed indecisa sul da farsi, facendo emergere interessi di parte, contrastanti tra di loro. Allo stesso tempo le differenze sono diventate sempre più evidenti, esacerbate dalle vicende greche e degli immigranti. 

In tutto questo, si è persa la capacità dell'Europa di competere su scala globale; i ritardi di competitività di molti Paesi europei penalizzano l'intera area. Pensare in modo egoistico al futuro del proprio Paese, nell'ambito di un'unione monetaria,  vuol dire "comprare" un pò di tempo a scapito dei propri partners, prima di affondare. 
Presi singolarmente, alcuni Paesi europei hanno caratteristiche per competere a livello globale, peccato che non abbiano le dimensioni del mercato degli Stati Uniti, del Brasile, della Cina. L'UE,  invece, rappresenta un mercato di 500 milioni di persone, la più grande economia della Terra, con 14.000 miliardi di euro di PIL ed una capacità sociale unica per tradizione e cultura. 

Per riprendere la corsa verso lo sviluppo sono sufficienti le tre iniziative della Commissione Europea (Enargy Union, Capital Markets Union e Digital Single Market)? Direi di no. Mi sembrano specchietti per le allodole. 
Fintanto che gli Stati non trovano meccanismi di governance veri, finché il dibattito non si sposta sul ruolo del Parlamento, per farlo diventare il motore democratico dell'Unione, e non si parla di bilancio federale e di debito pubblico europeo, i noeurini possono stare tranquilli. L'Europa dello sviluppo e del benessere è lontana.   

domenica 27 settembre 2015

Il caso Wolkswagen risveglierà l'Europa sul tema politica industriale (a danno dei Noeurini)?

"Industrial policy is an important tool of economic policy-making, and this has been the case especially since the onset of the current global financial crisis in 2008. However, only relatively few empirical studies consider the macroeconomic effects of industrial policy, especially for European Union countries. In this study we investigate the effect of state aid policy on economic growth and investment, using a panel data set which covers 27 European Union countries over the period 1992–2011. Our results suggest that state aid policy is not an effective tool to achieve higher economic growth and investment rates"

Questo l'abstract di un paper intitolato "State Aid Policy in the European Union" di Çiğdem Börke Tunali e Jan Fidrmuc che è stato pubblicato nel Journal of Common Market Studies (http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/jcms.12247/full). 

Lo ritengo paper importante perché è uno dei pochi lavori che affronta il tema della politica industriale in Europa. Come sostenuto in questo blog in molte occasioni, il tema non è argomentare pro o contro qualcosa, in questo caso la politica industriale in Europa, ma capire cosa sta succedendo e discutere su come apportare i giusti correttivi. 

Il primo dato interessante che troviamo nel paper citato è che, nel periodo 1993 - 2011, la spesa per aiuti di Stato è in diminuzione in tutti i Paesi dell'Unione, anche se in modo diverso da Paese a Paese. Il secondo dato importante è che cambia la composizione degli aiuti, passando da aiuti settoriali ad aiuti orizzontali. Ma quello più significativo è l'irrilevanza della politica industriale sulla crescita economica in Europa! 

Ovviamente si tratta di una materia complessa e dobbiamo essere cauti nel tirare conclusioni affrettate. Ma i dati sembrano indicare, a mio avvio, solo in parte corroborato dai risultati del paper, come tutto questo sia l'effetto delle regole europee. Sia quelle fiscali, sia quelle relative agli aiuti di Stato. Non si può certo dire che oggi l'Europa sia un level playing field per le imprese, o che non vi sia necessità di una politica industriale europea per sostenere la competitività del sistema in confronto ad altre aree economiche del mondo. Come suggeriscono gli autori del paper "Nevertheless, given that the stated objective of state aid in the EU context is enhancing efficiency, both national governments and the European Commission should consider rationalizing state aid policies to avoid wasting government resources." 
Io avrei detto ".. both national governments and the European Commission should consider to design a brand new state aid policy to promote economic growth and prosperity in Europe". 

Si parla molto di capital market union, ma non si parla di politica industriale, ed in particolare per le PMI. Troppo è lasciato agli Stati Membri che imbrigliati nelle regole europee sugli aiuti di Stato e nel rispetto dei decimali non riescono a definire una politica che riduca le differenze economiche e sociali tra Paesi, alimentando i Noeurini. Forse il recente caso Wolkswagen imporrà una riflessione e darà vigore ad una discussione sulla politica industriale in Europa. La speranza non costa niente. 

martedì 22 settembre 2015

Basta ipocrisia nell'affrontare la crisi greca. L'unica speranza è cambiare atteggiamento.

In futuro, se i libri di testo sull'arte della politica parleranno del rischio calcolato, la vittoria di Tsipras alle elezioni di domenica scorsa meriterà almeno una citazione. 

Dopo aver preso la guida del Paese poco meno di un anno fa, averlo condotto durante duri mesi di negoziati con l'Europa, passando attraverso un referendum, per poi accettare un accordo simile, se non peggiore, a quello rifiutato a febbraio, Tsipras è riuscito a vincere le elezioni politiche del proprio Paese, e con un vantaggio del 7,5% sull'opposizione. Chapeau. 

Il risultato elettorale dovrebbe significare una coalizione stabile. Ma il punto è un altro:  riuscirà Tsipras a tirare il suo Paese fuori dalla recessione? 

Certo non da solo. Nei prossimi mesi, la Grecia dovrà affrontare temi cruciali, che hanno una valenza europea e non solo greca. Sarà aiutato in questo da un diverso atteggiamento dell'euroburocrazia? E i politici europei e nazionali impegnati in fatue battaglie sui decimali, saranno abbastanza illuminati e capire che senza un diverso atteggiamento sulla Grecia, rischia tutta l'Europa? 

Veniamo alle sfide che attendono Tsipras. 
A seguito dei controlli sui capitali, sono seguiti diversi mesi di impasse economica, a cui si è aggiunto il ritardo nei pagamenti dal governo al settore privato; i prestiti bancari in sofferenza sono aumentati, da circa il 30% alla fine del 2014 a una media del 45%, secondo quanto riportato da Bloomberg. Le banche greche saranno sottoposte a stress test a partire dal prossimo mese. Attendiamo i risultati per capire la situazione. 
Nonostante nel secondo semestre il PIL ha segnato uno + 0,8% su base trimestrale, i dati di bilancio del 1 ° semestre mostrano come le entrate fiscali siano scese  vertiginosamente (-15% vs programmato). Speriamo che questo non suggerisca ai burocrati europei di chiedere al Governo greco di tagliare le spese per mantenere l'avanzo primario ai livelli previsti ad inizio anno. Il risultato sarebbe solo quello di aggravare la situazione. 
C'è da affrontare il tema della sostenibilità del debito, questione sollevata dal Fondo monetario internazionale, per riportarlo a livelli sostenibili.  
Oltre a tutto ciò, Tsipras dovrà realizzare un programma di riforme duro, comprese quelle misure che il suo partito e i suoi alleati hanno rifiutato di implementare in precedenza.

Riuscirà Tsipras in tutto questo? 
La risposta dipende dalla crescita. Il nodo che attanaglia tutta l'Europa. Non è chiaro come il terzo protocollo d'intesa intenda riavviare la crescita in un Paese che ha perso quasi un quarto del PIL a causa della crisi. L'attuale piano di investimenti manca di chiarezza e l'obiettivo della privatizzazione (€ 50 miliardi), la metà dei quali dovrebbe finanziare nuovi investimenti, appare difficile da raggiungere. 

Da dove arriverà la crescita? Alcuni economisti citano il turismo, altri le riforme strutturali. 
E domanda interna? Non credo che l'economia della Grecia (ed europea) possa recuperare il terreno perso senza misure che diano forza alla domanda interna. 
E poi, ci vorrà del tempo affinché le riforme abbiano effetto e la Grecia realizzi un nuovo modello di crescita: con oltre il 50% di giovani disoccupati il ​​Paese ha urgente bisogno di politiche volte a promuovere la crescita. E questo vale per tutti i Paesi europei. 

In conclusione, se i politici europei vogliono chiudere la porta ai noeurini e dare un futuro a questo continente, devono utilizzare l'occasione offerta dalla Grecia per inventare una nuova politica economia. Quale? Riprendiamo la proposta fatta con Piga di un piano Marshall (il piano Marshall per le PMI) per le PMI europee?

martedì 15 settembre 2015

Alcuni esempi di politica economica in Italia. Si può fare di più.


Lo spunto della riflessione di oggi mi viene dalla lettura del Sole 24 ore di stamane ed in particolare dall'articolo sul "Bilancio zone franche: concessi 600 milioni a 25mila micro e Pmi" di C.Fo. 

Bene che il ministero dello Sviluppo economico abbia pensato di fare un bilancio della misura per le zone franche urbane, introdotta nel 2007 e sbloccatasi solo ne 2014 e che il Sole ci abbia messo un faro. Si apra la discussione!

Le agevolazioni concesse dallo Stato con questa misura sono di vario tipo; esenzione IRES, IRAP, IMU e versamento contributi sul lavoro dipendente, utilizzando il regime "de minimis" ovvero un aiuto di Stato ritenuto ammesso perché di importo pari ad una (ridicola) soglia stabilita da un Regolamento dell'Unione. 

Il Rapporto è disponibile sul sito del Ministero (http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/documenti/Zone_Franche_Urbane-Rapporto_2015.pdf ) e grazie alle numerose tabelle statistiche, è possibile, da un lato, indagare sugli effetti della misura e, dall'altro, fare alcune riflessioni.

Il primo tema che si deve affrontare è però che cosa si attendeva il policy maker quando ha introdotto la misura. La finalità espressa in obiettivi numerici, di occupazione e PIL, non in prosa. 
Questo avrebbe consentito di confrontare il ragionamento ex ante a quello ex post, presentato appunto nel Rapporto. Mancando questo raffronto, le conclusioni dell'interessante documento sono monche per un policy maker. Esse si limitano a trovare soluzioni al tema di come far accedere le imprese alle agevolazioni, ma non discutono la finalità della norma, in termini di efficacia o in termini di obiettivi di crescita ed occupazione. Proprio perché la disoccupazione è uno dei parametri scelti per individuare le Zone in cui intervenire. 

Ad esempio il Rapporto di informa a pagina 8 che in Francia le ZFU hanno registrato una crescita economica cinque volte a quella del resto del Paese con un notevole (non precisato) aumento dell'occupazione. Nulla su quanto avvenuto all'occupazione nelle ZFU in Italia. Neppure in termini di crescita economica. 

Rapporto utile, quindi. Ma occorre fare di più. Verificare l'impatto di queste misure nei termini che interessano al Policy maker: occupazione e crescita.


domenica 13 settembre 2015

Il tema dell'immigrazione e la speranza di un'Europa diversa.


Leggo sui quotidiani che nel Piano europeo per affrontare l'emergenza migratoria si sta discutendo di utilizzare la clausola degli "eventi eccezionali" per incentivare i Paesi all'accoglienza.

Non sono stupito. Nell'Europa dello zerovirgola non poteva che essere cosi. Vedere tutto sul piano del rapporto indebitamento rispetto al Pil. 


Non si spiega perché questa clausola non sia stata utilizzata per chiedere (non giustificare) agli stati europei di seguire una politica economica in grado di contrastare la disoccupazione giovanile legata ad una crisi economica eccezionale. Da molti ritenuta più profonda di quella del 1930. Non era questa una circostanza eccezionale tale da chiedere all'Europa di definire una politica economica diversa? 


E non parlo di una politica passiva (ecco perché non uso il verbo giustificare) ma di una strategia europea, definita comunemente dagli Stati, e posta in essere in modo congiunto. 


Come politica passiva sembra essere il giustificare un maggior deficit in nome dell'accoglienza degli immigrati. 


Perché oggi la discussione in Europa é su come far fronte al flusso di immigrati e non su come affrontare il vero motivo di quanto sta accadendo: far uscire i paesi dai cui provengono i profughi dalla miseria. Un piano per il loro sviluppo economico e sociale, che abbandoni la logica della misericordia molliccia, dei selfie con gli immigrati, delle marce con i piedi scalzi. 


Un piano fondato sui valori che ci portarono al Trattato di Roma. Costruito con gli stessi valori. 


Ma un'Europa incapace di essere esigente verso il suo futuro e legato allo zerovirgola può essere capace di partorire un simile Piano? Un Piano che non definisca quello che l'Europa vuole, ma quello che quei Paesi vogliono. Senza tollerare le intemperanze.


Superare la logica dell'accoglienza nata sull'onda del dramma umanitario, non deve farci dimenticare che i Paesi vicini a quelli dai quali i profughi provengono sono in grado di  accogliere gli emigranti e sopportare i costi di quanto sta accadendo. 


Mentre siamo ancora capaci di poterlo fare, i politici europei devono avere un mente il tema geopolitico che si cela dietro i flussi migratori e trattarlo al di là dell'emergenza. 


Ma quest'Europa dei noeueini sarà in grado di capirlo? 

venerdì 11 settembre 2015

Dalla bad bank, una riflessione sul tema europeo degli aiuti di Stato.

Da diversi mesi in Italia si discute della creazione di una bad bank per aiutare le banche italiane a gestire i cd. Npls (crediti andati a male). Ma la discussione non si concentra sul vero problema: il regime degli aiuti di Stato in Europa continua ad aumentare le fratture nel sistema economico anziché risultare elemento di riequilibrio e maggiore competizione. 

Il tema degli aiuti di Stato dovrebbe essere come l'handicap nel golf, che consente a giocatori di capacità divers di giocare uno contro l'altro, in quanto l'handicap ha livellato la base di partenza. 

Vediamo il tema con riferimento alle discussioni in corso sulla bad bank. 


Il primo tema che occorre considerare è che l'intervento pubblico in questo caso dovrebbe servire a fronte di un fallimento di mercato, che non consente l'incontro tra domanda ed offerta; tra prezzo chiesto dalle banche per vendere e quello offerto dagli investitori per comprare. Non escludo ci sia asimmetria informativa tra chi compra e chi vende che non consente la formazione di un prezzo di equilibrio; e forse un pizzico di speculazione. Questo tema sembra essere pacifico. 


Il secondo tema é capire perché vi é oggi la necessità di una bad bank e non nel 2008 o 2010 quando questa necessità era avvertita da tutti gli altri Paesi europei, che hanno conseguentemente agito. Ovvero hanno messo mano al bilancio pubblico a sostegno delle proprie banche. Chi ha un solido sistema bancario siede in luoghi importanti dell'economia, influenzandone gli andamenti. 
Il punto non è di attribuire la colpa politica a qualche esecutivo italiano che non ha agito, ma di capire come mai solo oggi il problema emerge. Forse la lunghezza della crisi. Se dunque non consento al sistema bancario italiano di ristrutturare il proprio attivo solo perché ha resistito meglio o più a lungo alla crisi, non sto forse creando disparità di trattamento anzichè intervenire a livellale la base di partenza? 


A questo punto il tema diventano le regole europee sugli aiuti di Stato. Se il punto è di mettere il nostro sistema bancario nelle condizioni di concedere credito, di tornare a competere nello spazio europeo in modo uguale alle altre banche, salvaguardare i correntisti, cosa che è messa in difficoltà dalla presenza degli NPLs nei loro bilanci, si tratta di poter intervenire per ricreare un level playing field tra banche italiane e quelle del resto dell'Unione.
Quindi le regole che governano gli aiuti di Stato dovrebbero consentire all'Italia di procedere; il legislatore nazionale nell'utilizzare i soldi dei contribuenti dovrebbe stare attento, e discriminare i casi in cui la situazione è dovuta ad incapacità della banca nel valutare il merito di credito e quella creatasi a causa del prolungarsi della crisi. Solo se venisse dimostrato il fallimento di mercato, l'intervento pubblico sarebbe giustificato . 

Va da se che il fatto che nel tempo le regole siano cambiate, passando dalla possibilità di intervenire nelle banche ad una nella quale questo non è possibile, non è ragionevole in un sistema che dovrebbe intervenire a ridurre le differenze tra i soggetti economici operanti nei Paesi Membri. Cosa che invece è accaduta nel caso delle ristrutturazioni bancarie.

Quindi i servizi della Commissione che presidiano agli aiuti di Stato stanno creando una frattura maggiore nel sistema economico europeo di quella che si registrava ne 1999 e non soltanto con riferimento alle banche.

Perché?


sabato 5 settembre 2015

La politica economica degli altri. Il bilancio della Germania.

Il 1 luglio la Germania pubblica un riporta comunicato sul sito del Ministero delle Finanze (http://www.bundesfinanzministerium.de/Content/EN/Pressemitteilungen/2015/2015-07-01-draft-2016-budget-financial-plan-to-2019.html); lo riporto qui di seguito, con le mie riflessioni. 

Draft 2016 budget and financial plan to 2019: no new debt
On 1 July 2015, the federal cabinet adopted the government draft for the 2016 federal budget and the financial plan to 2019. There will be no new federal borrowing in any of the years covered by the financial plan. This means that the federal government is upholding its commitment to sound and reliable fiscal policies. Both the executed budget for 2014 and the current budget for 2015 were balanced, requiring no new borrowing.
Strano che la prima informazione sia quella che non ci sarà maggior debito fino al 2019. Che bravi! Chiaramente non parlano al popolo tedesco o a quello europeo, ma politicamente indirizzano questo messaggio ai mercati ed agli indisciplinati partner europei che discutono di flessibilità di bilancio e che voglio aumentare il debito per uscire dalla crisi e creare benessere nel proprio Paese. La disciplina, o meglio l'ortodossia fiscale prima di tutto!  Ipocrisia condita da una maggiore attenzione ai flussi migratori. 

Federal spending in the years up to 2019 will increase at a moderate pace, in line with higher government revenue. At the same time, the rate of federal spending growth will remain below the expected rate of GDP growth in the coming years.
Qui danno la regola di bilancio da seguire. Sembrano dire "è così facile!" . 

The adopted budget documents also show that the government’s plan to top up federal investment by €10 billion will be put into action during the years from 2016 to 2018. This investment will be targeted towards transport infrastructure, digital infrastructure, energy efficiency, climate protection and urban development.
Qui iniziano le notizie per i cittadini tedeschi. Ci saranno nuovi investimenti in settori importanti per assicurare la crescita del Paese. I rigoristi, in fondo dei noeurini, diranno che questo è reso possibile dalla continua disciplina fiscale tedesca. Io dico che è reso possibile dalle regole di un Trattato che non riconosceva i diversi punti di partenza dei vari Paesi e cercava di uniformare tutti. 

The budget also contains plans to increase the child tax exemption, child benefit, the child supplement, and tax relief for single parents. In addition, it includes steps to reduce tax bracket creep. These measures will provide over €5 billion in tax relief, especially for workers and families.
Sgravi fiscali. Beh le elezioni politiche tedesche sono relativamente vicine. Occorre incrementare i consensi e forse il cambio di atteggiamento mediatico sul l'immigrazione forse non basta. 

The adopted budget resolutions also continue the federal government’s policy of enhancing support for local authorities. For example, additional fiscal relief for local authorities, planned for 2017, will be increased from €1 billion to €2.5 billion. This comes on top of a newly adopted €3.5 billion fund to promote investment by local authorities with insufficient financial resources. In 2015, the federal government is allocating a lump sum of €1 billion to the Länder and local authorities to help pay for the cost of receiving and accommodating refugees. Starting in 2016, the federal government will provide the Länder and local authorities with sustained, structural relief in dealing with refugee-related costs.
Questo è un passaggio interessante. Politica equitativa o redistributiva per aiutare i lander con risorse  finanziarie insufficienti. Urca. Allora anche i tedeschi si rendono conto che ci sono situazioni che necessitano di un aiuto. Perché allora non propongono una misura analoga in Europa, riformando il ruolo del bilancio dell'Unione? Perché non si fidano degli altri Paesi. In Europa c'è bisogno di regole che permettono di controllare e ridurre la possibilità dei Paesi di crescere e potenziare l'Europa. 

The federal government will also significantly increase its spending on official development assistance (ODA) by a total of €8.3 billion during the period from 2016 to 2019. The goal here is to stabilise ODA spending at a level of 0.4% of gross national income.

A-ri-Urca! 

By adopting balanced budgets that add no new debt, the federal government is making a decisive contribution to the further reduction of Germany’s general government debt ratio. A debt-to-GDP ratio of less than 70% will be attainable as early as 2016. This reflects a fiscal policy that aims to safeguard intergenerational equity and to ensure that Germany is well prepared for future challenges likely to result from demographic trends.

Giusta conclusione. Si tratta di un budget nazionale. Perché preoccuparsi dell'Unione Europea. Ci sono sedi più appropriate per trattare le questioni europee. Ma allora che senso ha coordinare le politiche fiscali se non si coordinano gli interventi nazionali? 

Spero che la discussione sulla governance europea affronti questo tema. Le regole sulla flessibilità sono state scritte in un'epoca molto diversa dall'attuale. Non bastano. Occorre riformare profondamente l'Unione con una visione multilaterale, liberista e democratica.  

domenica 30 agosto 2015

Il supermercato dell'ideologia. Riflessioni sull'articolo di Francesco Giavazzi

L'articolo di oggi sul Corriere della Sera di Giavazzi propone alcuni temi che provo ad elaborare. Devo dire che l'articolo è ricco, ma lascia un interrogativo. Qual'era il punto del professore?  Troppa carne al fuoco. Almeno per me. Provo a mettere i temi in ordine. E per farlo uso il titolo dell'articolo: "Meno Stato per tagliare le tasse". Ecco le mie riflessioni. 

Primo. C'è bisogno di una PA migliore. Non basta dire "meno PA" ma occorre dire "meno PA non qualificata è più PA organizzata", ovvero PA fatta di persone qualificate, che consentono all'iniziativa privata di costruire il futuro del Paese.
Il perché c'è lo dice la nostra Costituzione che dichiara all'articolo 41 che "L'attività economica privata è libera", ma che " Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana." Per questo "La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali." Per questo serve una PA snella, agile, preparata. Una Amministrazione che può far ricorso ai giovani, altro che blocco del turnover, alla formazione, alla consulenza. Come ogni grande organizzazione mondiale. Vedi Google. 
Quindi le politiche che in questi anni hanno disgregato la PA (grazie anche agli slogan di Brunetta fannulloni! O "Roma Ladrona" di Bossi) oggi ripagano con moneta svalutata il Governo che proprio dalla PA vorrebbe un "colpo di reni". Lo chiede il Paese, e qualche volta anche Squinzi. 

Secondo. La Spending review. Far scendere da 8 mila a mille le imprese partecipate dallo Stato mi sembra un obiettivo politico importante, quasi uno slogan. Perché i governi che hanno avuto modo di avere tra le mani il lavoro di Cottarelli non hanno fatto nulla? Questo si chiede Giavazzi. La domanda è rivolta sopratutto ai governi locali. Clientela? Fallimento di mercato? Utilità sociale? Nessuno, a livello centrale o locale, si è messo a capire se quelle aziende dovevano essere chiuse, accorpate, liquidate o cos'altro. Questo è senz'altro un tema importante, ma che neppure il rottamatore ha saputo affrontare. Forse con meno imprese pubbliche si spenderebbe lo stesso importo per i servizi, ma si otterrebbe un risultato migliore. Perché non è detto che il servizio rifiuti costi meno se privatizzato,  ma può dare un livello di efficienza maggiore, sopratutto se qualcuno (la PA?) scrive bene i contratti di servizio, i bandi di gara per l'assegnazione del contratto e controlla il rispetto delle regole. Ma torniamo a quanto detto al primo punto. Serve una PA più qualificata. 

Terzo. La privatizzazione delle Poste. Meglio seguire l'esempio di Google. Strano in questo caso si prende ad esempio il settore privato (non quando si deve sostenere la necessità di un diverso atteggiamento della PA). Ma Google e Poste non hanno nulla in comune. Perché si dovrebbe seguire lo stesso modello di scissione societaria adottato da Google e non quanto fatto dal Governo giapponese con le Poste nipponiche? Ma il punto è un'altro. Il parallelo tra la privatizzazione delle Poste e la mancanza di politiche sulle partecipate a livello locale. Che senso ha? Solo per sostenere che non c'è volontà politica alla dismissione? O forse si vuole dire che non c'è capacità di elaborare strategie da parte dell'Amministrazione che ha visto nelle partecipate la possibilità di "sgattaiolare" dal patto di stabilità interno e ora non sa come uscirne? Se così fosse, e secondo me questo è il problema, siamo ancora al primo punto. 

Quarto. Il taglio delle tasse riducendo alcune agevolazioni fiscali. Perché no? Quello di cui ha bisogno l'Italia è una forte riduzione della tassazione (grazie Netanyahu che ha ricordato la curva di Laffer) per consentire alle imprese di investire in Italia. Ma anche - e qui torno in un certo senso al primo punto - di una forte azione di qualificazione della spesa che passa per una PA in grado di spendere bene. Ancora il primo tema.

Conclusione. L'azione riformista del Governo è ferma sul tema del rilancio della macchina dello Stato. Non basta la riforma del silenzio assenso, occorre chiedersi se quel pare serve veramente e mettere la macchina dell'Amministrazione in grado di rispettare i tempi. Ma nessuno lo dice. Meglio andare al supermercato dell'ideologia e dire cose scontate che piacciono ai lettori, ma che servono a poco nel mondo reale. 

lunedì 24 agosto 2015

La speranza di una politica economica congiunta, la risposta ai noeurini.

Mi piacerebbe che al prossimo Ecofin, i ministri delle finanze europee si confrontassero sul tema di come rilanciare l'economia. Che ogni ministro si presenti con una o più proposte - magari gli sherpa potrebbero lavorarci in modo congiunto - che guardi alla congiuntura, ma anche all'Europa tra 20 anni.  Misure da implementare congiuntamente, anche con i singoli bilanci dei Paesi Membri, ma con un unico intento: rilancio politico dell'Unione. 

Se fossi io il ministro delle finanze di un Paese UE proporrei un grande piano di infrastrutture fisiche e immateriali, che un'agenzia europea di appalti dovrebbe essere incaricata di sviluppare con risorse a carico del bilancio europeo. Basta alla burocrazia passiva di Bruxelles, direi nel mio intervento. 

Se così fosse, se il dibattito si concentrasse sulle misure e non sui numeri, i bilanci dei Paesi dell'Unione si muoverebbero all'unisono, evitando che siano solo alcuni Paesi ad indebitarsi di portarsi sopra la soglia, ormai psicologica e patologica, del 3%. Avrebbe senso il semestre europeo nel quale le politiche di bilancio si coordinano. Non si guarderebbe alla "bottom line", ma al contenuto delle manovre. Si farebbe politica economica e non contabilità di Stato. 

Questa sarebbe la risposta a quei movimenti noeurini che spaventano i veri europeisti, quelli che vogliono un futuro politico dell'Unione, non quella sbiadita degli europeisti dello zerovirgola. 

sabato 22 agosto 2015

Forse c'è Speranza. La politica delle idee e de dibattito potrebbe tornare

Finalmente! Questa esclamazione spero abbia accompagnato la lettura dell'articolo di Speranza sulla riforma della tassazione. Non tanto e non solo per il contenuto sul quale si può anche non essere totalmente d'accordo, ma sopratutto per la forza di provare ad avviare un dibattito esteso sulle questioni di politica economica. 

Come detto in altri post di questo blog, in Italia manca il dibattito (vedi il post: più confronto-meno-polemica-una-ricetta.) Si polemizza, questo si. Ma il dibattito mette in luce le differenze nelle sfumature e consente in modo chiaro di prendere decisioni e di formare un'opinione nei cittadini. 

La politica è anche questo: formare i cittadini e non illuderli con riforme da 80 euro. Certo, formare i cittadini ha un costo politico alto. I cittadini informati chiederanno sempre di più alla Politica in termini di vision e scelte. La classe politica dovrà essere in grado di dare queste risposte e passare dagli slogan ai contenuti. Cosa c'è di male a sognare e sperare nel miglioramento? Ci avevamo provato con Gustavo Piga un anno fa, lanciando una proposta il 15 agosto (Vedi: il Piano Marshall per l'Italia), che fu ospitato su questo blog, ma anche da "Il Foglio". Piga continua a provarci (vedi il suo sforzo del 20 agosto: on-ce-piu-la-spesa-pubblica-di-una-volta-e-perche/). 

Oggi, più autorevolmente, ci prova un politico. Spero vada meglio, che il dibattito si consolidi. Perché? Perché un uomo solo al comando non ha mai dato buoni risultati.

domenica 16 agosto 2015

La strategia localista non paga, Matteo a quando un'Italia globale?

A vedere le ultime leggi approvate dal Parlamento, su decisa spinta del Governo, mi pare che la spinta riformista del Premier si sia persa per strada. Spero non commetta l'errore che la sinistra commise nel 2001, quella della rincorsa al malpancismo incarnato ora dalla Lega, ora da MS5, che nulla ha a che fare con la visione politica per un Paese 4.0 . 
Perché a ben vedere, la riforma della scuola o quella della pubblica amministrazione, sembrano poco aggressive in termini di cambiamento. Sopratutto la legge sulla PA, non vi sarà sfuggito, riprende punti già in vigore della Riforma Bassanini e li rilancia. Sull'immigrazione si segue la scia della Lega. Sulla politica economica, parla di Mezzogiorno, ma il Governo non ha una strategia complessiva per consentire all'Italia di competere nel mondo. 
Tutto questo ha un inizio. Il 2001 quando venne commesso l'errore politico di riformare il Titolo V della Costituzione, dare maggiori poteri ad una classe politica e amministrativa non preparata (quella locale), non dare la responsabilità connessa con l'autonomia fiscale e distruggere lo Stato centrale. Si dirà che fu la reazione della sinistra al movimento leghista, che poi trionfò alle successive elezioni, in un vago tentativo di contrastare le camicie verdi, giocando sul loro stesso campo. 
La lega, un volta arrivata al Governo, ebbe gioco facile a proseguire e completare quanto iniziato dalla sinistra. La strategia localista, in un mondo globalizzato, non paga. 
L'Italia deve essere il motore di un'Europa unita e leale nell'alleanza con gli Stati Uniti, evitando di farli decidere da soli. 
La strategia economica deve essere quella di ridurre la presenza diretta dell'Amministrazione, che deve assicurare che non vengano prodotti danni all'ecosistema civile, sociale e ambientale. Occorre riportare le amministrazioni locali ad occuparsi dell'attuazione di politiche e strategie nazionali, evitando il campanilismo che allontana gli imprenditori o li rende partecipi di un gioco poco trasparente. Chiedo al Governo una vera spinta riformista. 

domenica 19 luglio 2015

Se il Governo ha deciso di abbassare le tasse

In questi giorni l'Europa ha vissuto un travaglio culturale che ha visto molti osservatori gridare alla fine del progetto nato con i Trattati di Roma.

Eppure qualcosa mi dice che non tutto quello che è successo è negativo. Non ci porterà alla fine del progetto. L'Italia è sempre più incapace di seguire la sua strada e torna ai "giri di valzer" della Prima Repubblica. È terra di conquista.

Il Governo, tenta ora il rilancio, con un programma a tre anni che ha alla base riforme e taglio delle tasse. Sembriamo sempre più isolati in un contesto dove solo la nostra posizione geografica giustificherebbe una maggiore adeguatezza del sistema politico. 

Sembra solo un rilancio mirato alle prossime elezioni, a riconquistare la perdita di consenso. Dopo giorni di silenzio, Matteo Renzi esce allo scoperto e avvia la fase due del Governo. Seguirà un cambio della guardia, con alcuni Ministri che andranno ad occuparsi di altre faccende. 

In realtà è il tentativo di diventare qualcosa di diverso. Di far crescere l'Italia, in Europa e per l'Europa. Non è certo farina del sacco di Matteo, che ha ricevuto segnali evidenti di muoversi. La foto con il giubbetto antiproiettile dice "attento non sei invincibile". Le mille piccole problematiche sorte in politica interna (Crocetta, Marino per dirne solo due). L'intervista di Lamberto Dini. Segnali. 

La risposta, mediatica, non si è fatta attendere. Ora attendiamo la risposta dei fatti. 

mercoledì 24 giugno 2015

Il nuovo volto dell'Europa: la Grecia

La questione greca ci ha mostrato un nuovo volto dell'Europa. 
Il punto politico che emerge da quanto si apprende dai giornali della questione greca è di una situazione di un Paese, di un popolo, che ha forte necessità di essere supportato economicamente e politicamente per molto tempo. 
Sarebbe infatti sbagliato, come si tende a credere, che una volta raggiunto l'accordo sul debito con il Fondo Monetario Internazionale, la situazione sia risolta. L'accordo che si profila - e che spero verrà raggiunto - è l'inizio di un percorso di assistenza che l'Europa è chiamata a fornire al popolo greco, cui siamo legati da storia, tradizione e futuro.
Ma emerge un altro punto politicamente rilevante. E se ne sono accorti anche alcuni politici europei; l'Europa così non va avanti. Lo sforzo verso la Capital Market Union altro non è che un (troppo timido) tentativo di far muovere l'unione monetaria verso qualcosa di più compatto ed irreversibile. Il tentativo non può fallire: si deve trasformare in un risultato che può sembrare ambizioso: l'Europa che si presenta su tutti i tavoli come unica. Basta seggi diversi nelle istituzioni internazionali, basta gruppi di contatto che fanno riferimento ai Paesi e non all'Unione. 
Affinché questo si realizzi, serve solo la nostra volontà. Quella di cittadini europei. Forza Europa! 

sabato 6 giugno 2015

La politica economica non è una scienza esatta, ma...

Il Presidente del Consiglio parla di creare nuovi posti di lavoro. La sua scommessa principale non sono state le riforme strutturali (Job act, riforma della legge elettorale etc.) ma quella di ridare fiducia al Paese. La fiducia aiuta l'economia? Direi di si, ma non basta. 
Occorre una qualificata spesa pubblica per investimenti per dare alle imprese la prospettiva di cui hanno bisogno. Le imprese producono se c'è domanda e quando la domanda privata latita deve entrare quella pubblica. In modo intelligente. Esempio? Vogliamo sbloccare gli investimenti nella banda larga? Vogliamo completare le infrastrutture del Sud d'Italia e puntare sul porto di Napoli e Taranto per il turismo e le merci? 
Servono visione e investimenti. E fiducia 

sabato 25 aprile 2015

Almeno Boeri ci fa discutere di cose serie!

La proposta di un reddito minimo per gli over 55 rivendica lo spazio d’iniziativa dell’INPS e richiama lo spirito di un meccanismo di stabilizzazione automatica, di cui si discuteva a Bruxelles fino a qualche mese fa. Nel corso del suo mandato, l’ex Commissario Laslzo Andor ha promosso l’introduzione di un sistema di ammortizzatori sociali a livello europeo, che prevedeva la condivisione dei costi di assicurazione a fronte dei rischiderivanti dai picchi di disoccupazione a seguito di uno shock. Uno schema di disoccupazione capace quindi di sostenere la domanda in fasi di rallentamento economico e di contenere anche il possibile effetto contagio
Il dibattito, attualmente fermo, si era concentrato attorno alla proposta di un’indennità pari al 50% della media degli ultimi stipendi, versata per un anno al massimo dall’inizio del periodo di disoccupazione, a favore di quanti avessero contribuito allo schema consecutivamente per i due anni precedenti. Nessun target di età esplicito quindi, dato che lo strumento era pensato per sostenere chi aveva perso il lavoro ma aveva avuto comunque tempo (ed anzianità) sufficiente per alimentare il piano. Il sussidio mirava infatti ad ammortizzare la disoccupazione addizionale e non quella strutturale, derivante da una variazione dell’equilibrio economico generale di un Paese.  A livello europeo il meccanismo sarebbe stato implementato in via preventiva e non avrebbe avuto un impatto immediato sugli attuali livelli di disoccupazione. 
L’iniziativa di Boeri traduce in chiave italiana la filosofia del meccanismo europeo, ma con due significative differenze. Innanzitutto è indirizzata a una fascia precisa, che comprende i lavoratori tra i 55 ed i 65 anni. Secondo quanto dichiarato dallo stesso Presidente, questa fascia si è significativamente impoverita a seguito della crisi solo nel 10% dei casi riesce a reimpiegarsi. In secondo luogo, la misura verrebbe attuata in una logica ex post, e non ex ante, mirando ad ottenere un’efficacia immediata.
L’aumento dell’occupazione per questa stessa fascia di età, registrato durante la crisi, è solo in apparente contraddizione con la proposta. Come spiega la nota del Centro Studi Confindustria pubblicata a gennaio di quest’anno, si tratta infatti di una tendenza riconducibile a effetti di composizione (un insieme di cambiamenti nell’approccio al mercato del lavoro, dovuti alla maggiore istruzione dei lavoratori e a una partecipazione più attiva delle donne) e all’entrata in vigore delle nuove norme sul pensionamento, che di fatto hanno allungato la vita lavorativa. È un andamento comune a diversi paesi in Europa ed in Italia si è evidenziato in maniera più marcata.
Non c’è poi un effetto di compensazione tra le generazioni, anzi, a livello internazionale si verifica una correlazione positiva tra l’incremento dell’occupazione dei più anziani ed il corrispondente per i più giovani. Se questo però è valido nel lungo periodo, nel breve si riduce comunque il turn-over ed aumenta la protezione degli over 55, con qualche evidente penalizzazione. 
Questo non può essere comunque il presupposto di una critica fondata allo strumento, che non mira a spostare risorse da una fascia all’altra, quanto piuttosto a ripristinare un equilibrio lì dove è venuto meno. L’elevata disoccupazione giovanile è determinata da cause strutturali, oltre che congiunturali, e per questo richiede interventi diversi. Il Governo ha già dato una prima risposta, ma bisognerà aspettare i prossimi mesi per valutare l’efficacia del Jobs Act.
Anche se diversa da quella avanzata in sede europea, la proposta di Boeri rischia di incontrare gli stessi ostacoli. A Bruxelles molti Paesi hanno rivendicato la necessità di interventi urgenti per i giovani e per la situazione immediata. Mancava poi il consenso politico sulle questioni finanziarie. 
Non ci sono per ora dettagli sufficienti per stabilire la portata economica e il grado di copertura richiesto dalla misura. Certo, richiederebbe un cambiamento di rotta dell’Esecutivo, che non prevede ulteriori interventi sulle pensioni. Non c’è bisogno però di entrare nel merito per sostenere (e condividere) la logica anticiclica della proposta.

sabato 11 aprile 2015

Cosa vorrei trovare nel DEF infrastrutture

In Italia partiamo sempre dalla fine. Parliamo di come finanziare le opere senza chiederci quali infrastrutture servono per garantire un futuro al Paese e di qual'è l'interesse pubblico che deve essere perseguito o tutelato. 

Occorre scardinare le metodologie di lavoro seguite sin qui e lavorare per favorire l'iniziativa privata in grado di realizzare una crescita virtuosa dell'economia. 

Partiamo dall'inizio. Non serve improvvisazione, né di stereotipi di sviluppo o di totem da utilizzare per fini elettorali. La politica deve avere il primato della scelta, della visione di quello che necessita al Paese. Questo processo (quello della scelta) ha un suo percorso democratico (elezioni e consultazioni via web se volete) ed ha necessità di coerenza nel tempo. In altre parole: se sia celglie bene e democraticamente le opere sono utili e vanno avanti indipendentemente dal colore del governo. 

Si possono creare gravi danni al territorio se nei processi di identificazione delle priorità non si valutano costi e benefici degli interventi, se non viene tenuto presente l'ambiente socio economico nel quale si opera, ma sopratutto se non si tiene fermo l'obiettivo e lo si realizza in tempi ragionevoli. 

Identificate le priorità, si passa all'attuazione. E qui si deve coinvolgere il settore privato. E questo non per i vincoli di bilancio che spesso vengono invocati come motivazione per coinvolgerlo, ma perché solo con un corretto partenariato tra il settore pubblico e quello privato si può ottenere uno sviluppo (grazie all'imprenditorialità privata) virtuoso (grazie al controllo pubblico delle finalità dell'intervento del privato ed al suo continuo monitoraggio).

Affinché il partenariato sia corretto, occorre un'elevata preparazione dell'Amministrazione pubblica, in modo che possa ottenere un'allocazione efficiente e corretta dei rischi. L'elevata preparazione serve per non avere un'asimmetria di conoscenze tra il privato, che può disporre delle più aggiornate competenze (le compra al bisogno) e il pubblico che spesso non può ricorrere alla consulenza (che parolaccia!) e non ha una formazione ed un aggiornamento costante. L'elevata preparazione consente all'amministrazione di capire gli interessi in gioco e di regolarli, con trasparenza, in modo da raggiungere l'interesse della collettività. Di qui l'importanza citata all'inizio di chiarire le priorità e l'interesse pubblico da perseguire. 

Non è questione di etica, ma di funzioni obiettivo. Il privato si attrezza e spende per ottenere la massimizzazione del profitto. L'Amministrazione non ha invece i mezzi per massimizzare gli interessi pubblici. 

Spero che nel Def ci sia un qualche segnale di programmazione e di spinta verso una amministrazione più formata. 


lunedì 6 aprile 2015

Riflessioni, sentimenti e speranza

Questo fine settimana di Pasqua ci ha portato molto tempo per leggere e riflettere. Spero che tutti abbiamo avuto modo di stare in compagnia e di rilassarsi, per essere pronti a riprendere a lottare, da domani, nella vita quotidiana. 

Passeggiando per l'Italia ho visto molti turisti, molte persone anziane, molti ragazzi pieni di voglia di vivere, molti volontari intenti a curare le visite ai nostri beni culturali, ma anche molta sporcizia per le strade, molte persone senza casa, molte buche nelle strade.
Luci ed ombre di un Paese in declino, aggrappato alla sua storia, che però pare non averle insegnato nulla. 

La storia ci ha insegnato che tutto cambia grazie alle forze presenti nella nostra società, che oggi non hanno confini predefiniti. Che tutto cambia grazie alla nostra innata natura di cercatori, di inventori, di persone impavide. Pensate a Marco Polo. O alle Legioni Romane. O a Michelangelo. In tutti troverete forza, entusiasmo, voglia di vincere la paura, voglia di scoprire e non rimanere chiusi nella loro quotidianità. Voglia di fare. I grandi condottieri, i grandi imprenditori, i grandi politici, i grandi di ogni tempo si sono affermati per aver seguito una loro intuizione, un loro sogno. Tanto impegno, poca paura. 

Qual e' oggi il nostro sogno?
Il mio? Vorrei avere la libertà di agire e fare scelte, che vivendo in una società globale, derivano dalle possibilità e dalle norme che regolano il vivere del mondo globale. A cui noi non siamo abituati. Anche se, rileggendo la nostra Costituzione, capisci che chi scrisse quel testo era molto più avanti di noi. Molto più lungimirante. Aveva molta meno pausa di osare. 

Oggi le regole del mondo globale non danno molto tempo per pensare a come realizzare un'idea, si deve poterla realizzare e basta. Sempre nel rispetto delle regole certo, ma ricordando che spesso le regole vengono riscritte a fronte di un desiderio di cambiamento della società. Com'è stato nel caso della rivoluzione americana, quella francese, ma anche dopo il lancio di Google e Wikipedia. O come nel caso del lancio degli smartphone, che hanno rivoluzionato la nostra vita in modo lecito e veloce. 

La storia si scrive cambiando, non attuando decreti. Il nostro Paese sono anni che parla di banda larga, ultralarga e produce studi ed analisi su come realizzarla. Intanto la connessione a internet, base della nuova democrazia, fonte di sviluppo e di crescita, consente ad altri di andare avanti, progettando nuove soluzioni. Noi, cullandoci di un passato che se potesse ci ripudierebbe, ci culliamo nella discussione. 

Noi meritiamo di più.

domenica 15 marzo 2015

L'alternativa di Varoufakis, Mazzuccato e Pisani-Ferry al Piano Juncker

«Immagino una forma alternativa di Quantitative Easing, finanziato al 100% da obbligazioni della Banca Europea degli Investimenti: la BCE potrebbe comprare questi bond sui mercati secondari. Mi piacerebbe chiamarlo Piano Merkel». Questa, la proposta lanciata ieri dal ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis, al meeting Ambrosetti di Cernobbio. «La Bei può chiedere ai governi di guidare un programma per la ripresa degli investimenti. Finanziato al 100% da obbligazioni emesse dalla Banca degli investimenti con la BCE.», dice tra l'altro il ministro al Forum.
Ma quanto emerso ieri ad Ambrosetti potrebbe andare più in la, se combinassimo quanto emerso nei due giorni di lavori, in particolare se mettessimo insieme alla proposta del Ministro greco, le idee della prof. Mazzuccato e del prof. Pisani-Ferry. 
Quello che serve all'Europa in un momento di "crisi da bilancio", dove tutti contemporaneamente riducono l'esposizione debitoria, è un po' di sana spesa pubblica a leva. Sana, perché dovrebbe essere per politiche di convergenza (come richiesto da Pisani-Ferry). Finanziata in parte con i fondi strutturali che dovrebbero essere però utilizzati in modo più flessibile (Pisani) ed in parte con fondi presi a prestito dal mercato, o come propone il prof. Varoufakis tramite emissioni della Bei acquistate dalla ECB. 
Non possiamo pensare che siano solo gli investimenti privati che debbono rialzare la testa Come propone il Piano Juncker, ma servono interventi pubblici in quei settori nei quali oggi il privato non entra (Keynes-Mazzuccato) ed investimenti in infrastrutture e politiche di convergenza. 
Manca ancora un pezzo: gli investimenti dovrebbero esser effettuati per l'Europa e non per i singoli Paesi, meglio se da strutture esistenti che mettono a disposizione i risultati alle imprese europee ovvero infrastrutture di connessione dell'Europa. 
Manca solo un Governo Europeo che, guardando agli interessi comuni, attui questa strategia. 

domenica 1 marzo 2015

Pa: rinnovamento dei processi e meno norme


Occorre un progetto serio per cambiare il modello di funzionamento della PA attraverso:

  • la completa revisione dei processi amministrativi, che recepisca al massimo le potenzialità delle nuove tecnologie informatiche; la riforma non parte dalle norme, ma dalla necessità di rivedere i processi di lavoro dell'Amministrazione, nell'ottica di favorire cittadini e imprese;
  • la riduzione “drastica” dei margini di “discrezionalità” nei processi decisionali della PA. Questo al fine di assicurare il rispetto dei tempi, l’omogeneità formale ed etica (anticorruzione) delle decisioni assunte dalla PA nei confronti dei cittadini e delle imprese.


Punto di partenza: al’innovazione organizzativa e di processo, consentirebbero la ridefinizione dei confini dell’intervento pubblico, creando le condizioni per un “nuovo” modello di Pubblica Amministrazione. Dopo lo studio dei processi, si valuterà come cambiare le norme. Oggi partiamo dalle norme, senza aver chiaro obiettivi e strumenti. L'informatica da oggi delle possibilità enormi, sconosciute in passato. Il ritardo tecnologico organizzativo della PA (e le carenze infrastrutturali, come il ritardo sulla banda larga) pesano sullo sviluppo del Paese. 

La riorganizzazione del modello di funzionamento e di erogazione dei servizi pubblici assicurerà livelli di servizio più elevati o in linea con quelli attuali, ma a costi più bassi. Sarà, infatti, necessario un minor numero di impiegati nel settore pubblico per assicurare gli stessi servizi, grazie alla minore discrezionalità dei processi amministrativi. È la minore discrezionalità è un forte antidoto per la corruzione e l'inefficienza.  Sarebbe una risposta concreta al bisogno del Paese ed un esempio per gli altri paesi dell’UE che intendono contribuire, attraverso un miglioramento della Spesa Pubblica, al rafforzamento dell’Economia Europea.





domenica 22 febbraio 2015

Perché il Piano Juncker non basterà al rilancio dell'economia


Se guardo a come e' stato costruito il Cd Piano Juncker devo ritenere che Mr. J e chi lo ha aiutato a scrivere il Piano ha lavorato poco e male. 
In primis, non la redazione del Piano non è partita dall'analisi di quello che i Paesi ritengono di aver bisogno, ma dall'idea su cui era basato il Piano Barroso, legato prevalentemente agli investimenti privati.
Eppure era iniziato tutto molto bene, con la richiesta agli Stati membri di proporre i progetti, di matrice europea, che potevano essere cantierabili nel triennio 2015 - 2017. Le poche indicazioni pervenute lasciavano pensare che ci sarebbe stata una fase di analisi dei fabbisogni espressi e una di identificazione degli strumenti e delle risorse per comporre un Piano di investimento. 
Dall'analisi dei progetti presentati sarebbe emerso che ci sono iniziative di livello europeo e progetti nazionali, cui l'Europa dovrebbe essere interessata. Che servono investimenti pubblici, nazionali e comunitari per alcuni di essi, essendo tipici progetti che il settore privato non è interessato a realizzare, ma che sono abilitanti per attrarre gli investimenti privati. Altri progetti sarebbero stati forse esclusi dal Piano, magari per carenze di progettazione o di analisi.
Invece, nulla di tutto questo è' avvenuto. I progetti presentati dagli Stati Membri non sono stati analizzati per capire di cosa veramente hanno bisogno, e il Piano Juncker è stato pubblicato con pochi dettagli e molti interrogativi. Si baserà su un sistema di garanzie che hanno lo scopo di consentire il finanziamento di progetti privati, anche col supporto finanziario degli stessi Stati Membri. Forse sarà operativo nel 2016. 
Parallelamente, è stata partorita una striminzita clausola di flessibilità che non consentirà di soddisfare le necessità dei Paesi Membri. Forse era meglio analizzare i progetti presentati, passare per un processo analitico e poi un "via libera" a non contabilizzare tali investimenti nel deficit. Avremmo potuto investire nella sicurezza delle scuole e del territorio, nelle case sociali, nelle carceri. È molto altro. 
Si poteva fare di più è meglio. Abbiamo bisogno di un'Europa creativa e meno legata allo spauracchio del 3%, perché abbiamo diritto ad un futuro di crescita solidale.

sabato 24 gennaio 2015

Più confronto, meno polemica. Una ricetta per tornare ad essere rispettati

Nel nostro Paese abbiamo dimenticato il gusto di discutere per costruire, mentre abbiamo sviluppato fortemente la discussione polemica e distruttiva.
Se una cosa va riconosciuta al Governo Renzi è la capacità di discutere, ma anche di prendere decisioni. Aprirsi al dibattito non è sinonimo di non voler decidere, ma una necessità per costruire al meglio una proposta, un lavoro, un paper, una ricetta.
Sui temi politici ed economici, ad un certo punto della discussione, ci sarà sempre qualcuno che farà la sintesi e deciderà.
I giornalisti hanno un grande ruolo da giocare: invece di inseguire la polemica possono, e spesso lo fanno, alimentare il dibattito è la discussione, senza polemica.
E noi italiani dovremmo discutere internamente sulle scelte e sulle politiche, ma essere sempre fieri del nostro Paese e difenderlo ad ogni occasione.
Basta polemica, più discussione democratica. Con questa ricetta usciamo dalla crisi e torniamo ad essere rispettati.

sabato 3 gennaio 2015

Canone Rai? Leghiamolo agli ascolti!

Canone Rai? Puntiamo sugli ascolti
Questo mi sarebbe piaciuto sentire da Matteo Renzi a proposito di Rai. Eh già perché se vogliamo puntare su una televisione di qualità dovremmo pensare contenuti e non come far pagare il canone. 
A questo pensa la tecnologia. Basterebbe utilizzare una smart card come si fa per tanti altri abbonamenti e chi veramente ha voglia di vedere i programmi della Rai dovrebbe semplicemente acquistare la carta.

Certo in questo modo rischia di crollare tutto il baraccone Rai, perché senza l'abbonamento, obbligatorio, equiparato ad una tassa, che ti arriva casa con una lettera dell'agenzia delle entrate, non è detto che la qualità dei programmi sia veramente tale che il pubblico voglia pagare  per vedere i servizi offerti.

Questa sarebbe la vera rivoluzione nella televisione pubblica altro che informazione e servizi pubblici.