sabato 27 febbraio 2016

Renzi e Juncker, pace fatta. In nome dell'Europa?

Ferruccio de Bortoli, sul Corriere della Sera, ha commentato lo scorso fine settimana quale è lo scenario in cui si sta muovendo l’Italia e quali sono i rischi futuri. «L’anestetico (o il metadone) della Bce non è infinito. La congiuntura favorevole di euro e petrolio è irripetibile. Se il nostro debito, nel rapporto con il prodotto interno lordo (Pil), non dovesse scendere dopo nove anni, come promesso, il Paese sarebbe nuovamente esposto alla speculazione dei mercati», ha scritto de Bortoli.
È una constatazione o un avvertimento? Vista la ritrovata pace tra Renzi e Juncker, sembra ora essere stato un avvertimento. I due politici sono troppo politici per non aver capito che, per entrambe, era bene dare un segnale di ritrovata serenità. Juncker per evitare ripercussioni nel progetto europeo, il cui obiettivo è normalizzare l'Italia. Il secondo che vuole vincere le prossime elezioni, come ho scritto in questo blog (Leggi qui). Per questo i due hanno  fatto un patto triennale, che comprende una discesa più lenta del deficit e il rinvio di un anno nella discesa del rapporto debito / Pil. 
Va detto che è meglio di niente. Tra gli errori del passato c'è anche quello di essere usciti dalla procedura disavanzi eccessivi troppo presto. Con un Paese bisognoso di riforme per la crescita, costose e ancora bloccato da vecchie lobbies che dà in pasto alla pubblica opinione l'inefficienza della burocrazia come vittima sacrificale, avremmo avuto bisogno di mantenere il deficit sopra il livello del 3%. Come la Francia ad esempio. 
La battaglia di logoramento sui decimali ha portato il Governo a ridurre la spinta riformista, perché oggi avrebbe la necessità di più investimenti per rispondere alla richiesta del Paese: lavoro. Ma questo lo hanno capito in Europa?