venerdì 29 agosto 2014

Forza Italiani, reagiamo!!

Rimango abbastanza sconvolto dalla vignetta di the Economist di ieri. Ci sono diversi elementi che a me danno fastidio e che, io credo, debbano far indignare tutti noi.
Il primo l'assenza di molti paesi dell'Unione Europea. Il secondo: la barchetta di carta che affonda e la Banca centrale europea, che non rappresenta il popolo europeo, l'unica che sembra darsi da fare per salvare la situazione. Il terzo, su cui oggi molti si sono soffermati, é quello del nostro Primo Ministro con il gelato in mano distratto. Vediamoli uno alla volta, insieme.

Il primo. L'assenza di molti paesi dell'area euro nella raffigurazione.  Tutti i Paesi europei stanno sulla stessa barca, fanno parte di un'ampia costruzione, di una tradizione comune e di un futuro insieme. Credo in una Europa che non sia solo un grande mercato comune guidato da (pochi) Paesi, ma che rappresenti un popolo, una forza politica comune. La mancata rappresentazione di tutti paesi dell'area euro è una grave omissione sulla quale tutti noi che amiamo e rispettiamo i nostri fratelli europei non dobbiamo accettare.

La seconda immagine fastidiosa é quella di una barchetta di carta che affonda. Già il fatto di aver scelto la carta per rappresentare la barca europea sta a significare quello che, oltremanica, ritengono sia la costruzione europea: un pezzo di carta. Si può riconoscere come il nostro percorso di unione sia appena iniziato attraverso quella monetaria, ma non è certo finito perché l'Europa deve diventare - e in questo tutti ci dobbiamo sentire impegnati - un'unica area politica. Scegliete se confederazione, federazione o altra forma. Ma dobbiamo andare avanti, uniti. Più tardi avverrà questo processo politico e maggiori saranno i danni che noi europei avremo subito. Data la dimensione degli altri grandi player internazionali - Stati Uniti, Cina, India, Brasile - l'Europa disunita oggi, politicamente conterà sempre meno nelle decisioni internazionali. Questo vuol dire che ben presto non avremo più quel ruolo che noi meritiamo di avere per i nostri valori, le nostre capacità, la nostra forza interiore. Avere unito i nostri destini in una moneta unica è stato un passaggio importante, ma non deve essere considerato l'unico; soprattutto non deve rimanere isolato. Serve una svolta democratica.

La terza immagine, che non dobbiamo accettare, è quella del nostro Primo Ministro rappresentato con un gelato in mano, distratto. Quasi a significare la sua non attenzione verso i problemi della "barca" che affonda, distratto ed intento a divertirsi, mangiando un gelato e guardandosi intorno. Il nostro è un Paese fondatore dell'Unione Europea. Mi spingo fino a dire che senza l'Italia, l'Europa  non ci sarebbe mai stata. E dico, e ne sono convinto, che anche voi pensiate lo stesso:  senza l'Italia nessuna costruzione europea è possibile. Con tutti i nostri mali e tutti nostri guai continuiamo ad essere un paese del G8. Il secondo paese manifatturiero europeo. Io credo che la rappresentazione del Primo Ministro italiano distratto, che mangia un gelato, non rende merito a tutti gli italiani impegnati ogni giorno nel mondo, in Europa e nel nostro Paese, per fare in modo che le cose possano andare meglio. Milioni di lavoratori che ogni giorno si alzano e mettono la loro capacità manuale o intellettuale a favore degli altri.

Ora non basta lamentarsi. Bisogna immaginare una reazione che non può essere e non dev'essere quella di uscire dall'euro o quella di non rispettare i patti. Deve essere quella di combattere per cambiare le regole, per costruire definitivamente l'Unione Europea, per consentire al nostro Paese di essere - ora non tra dieci anni - leader della nuova Europa.

Europa fondata sulla democrazia, con un Parlamento che può prendere decisioni, imporre politiche, nominare un governo.

Abbiamo già fatto in parte consentendo nostro Paese per avere una grossa rappresentanza all'interno dell'attuale Parlamento. Lo stiamo facendo costruendo un'asse Draghi-Napolitano-Renzi. Non basta la  risposta ironica del premier Renzi che offre gelati a tutti. Confidiamo adesso in questi nostri rappresentanti al Parlamento Europeo, perché sappiano contribuire alla costruzione dell'Europa.

lunedì 25 agosto 2014

Matteo vuoi la revisione della spesa? Cambia la PA

La copertura di nuovi provvedimenti di spesa, riducendo altre spese sembra una cosa impossibile in Italia. 
Normalmente l'Amministrazione dovrebbe, al netto delle spese per il suo funzionamento, analizzare la spesa verso l'economia e decidere se mantenere una politica ovvero reindirizzarne le risorse. Dovrebbe.  
Da noi si è consolidata la spesa a strati. Quello che si spende a favore di una certa politica, non si tocca. Anzi si incrementa. Anche se non produce gli effetti desiderati, che nessuno analizza, neppure il sommo sacerdote dei conti, la RGS, la Corte dei Conti o il nuovo Ufficio Parlamentare di Bilancio. 
Ecco allora inasprimenti di tasse o i tagli lineari. Nessun ministro si prende la briga di analizzare la qualità della spesa del suo dicastero. Perche? Perché ci sono troppi impiegati nella gestione della macchina (uffici risorse o del personale che dir si voglia, ovvero Back Office e pochi sul front Office (operativi) e nei Middle Office (analisi, studi, ricerca). 
Iniziamo allora ad unificare tutti i Back Office dei vari ministeri. Perché ciascuno deve avere una amministrazione del personale a se stante? Mistero. Forse si deve nascondere qualcosa? Forse si hanno trattamenti economici differenziati? Altro? Questo sarebbe un primo risparmio da revisione della spesa. 
Seconda mossa. Assumere giovani economisti nei Middle Office. Iniziare a far analizzare la spesa per quello che produce. Se da gli effetti desiderati. 
Non serve un commissario alla revisione della spesa, serve una diversa organizzazione delle Amministrazioni. 

domenica 24 agosto 2014

Forza Matteo! Servono misure non convenzionali in politica economica.

In un momento di crisi quale quello attuale, che certo ha superato tutte le aspettative e sopratutto non risponde alle normali "cure" occorre qualcosa di diverso. Lo ha detto Mario Draghi, quasi condizionando le misure non convenzionali della BCE alle riforme strutturali nei singoli Paesi.

Con Gustavo Piga abbiamo cercato di aprire il dibattito su strumenti non convenzionali che, nel rispetto del famigerato rapporto deficit / PIL possa essere di sostegno al sistema produttivo. O a chi decide di fare impresa nel nostro Paese. Basta con fantasiosi fanta-fondi-immobiliari o inasprimenti di tasse.

Non sono sorpreso che nessuno abbia ripreso e criticato l'idea di emettere titoli di Stato, indicizzati al PIL, per concedere prestiti alle PMI. Il cuore produttivo del Paese. Perché in Italia si è abdicato alla politica industriale. Lo stesso era accaduto, in parte, per una proposta del segretario della CGIL, lanciata due  anni fa. Susanna Camusso, in una intervista di Massimo Franchi (19 agosto 2012) dal titolo "Lo Stato intervenga e compri aziende in crisi", ipotizzava l'intervento della CDP per comprare quote di società per poi ricollocarle sul mercato a crisi finita. Forse si riferiva al Fondo Strategico? Altra ipotesi della Camusso era però quella di intervenire "finanziando direttamente progetti industriali che ci consentano di mantenere in Italia settori fondamentali." Qui tutto tace. Eppure l'evidenza empirica su quanto importante sia il sostegno pubblico per l'innovazione (pensate a Internet) non manca. Leggete The Enterpreneurial State di Mariana Mazzuccato e fatevene un'idea.

Non si tratta di tornare a produrre le sigarette. Si tratta di orientare e sostenere le imprese private nei settori innovativi ad alto valore aggiunto. Lo fanno negli Stati Uniti, in Germania. Perché noi no?!

Qualcosa di non convenzionale. Come Mario Draghi con la politica monetaria. Questo non a detrimento delle riforme ritenute necessarie, ma a sostegno delle stesse.

La prima riforma è quello dello Stato, del modo in cui amministra la cosa pubblica. Ci sono molti, moltissimi civil servant bravi; ma fronteggiano un sistema di burocrati e di norme che fa paura. È molto più facile bloccare le cose che farle camminare. Meno rischi, sopratutto se si rimanda il problema sul tavolo di altri, per allungare i tempi, per evitare di decidere. Mettere dubbi, sollevare critiche, magari utilizzando la tradizionale corrispondenza, in luogo di un modo di lavoro che privilegi il confronto e la risoluzione diretta dei problemi. Il mondo però non aspetta.

Occorre tornare a fare in modo che lo Stato crei le necessarie condizioni perché tutti - e dico tutti - possano trovare la propria strada. Possano scegliere.

Uno Stato dove le idee siano discusse (e non polemicizzate); dove il confronto delle opinioni sia il modo più democratico per scegliere. In favore di tutti.

venerdì 15 agosto 2014

Il Piano Marshall per l'Italia delle PMI

Oggi, sul Foglio, con Gustavo Piga

La sfida più importante che l'Italia e il suo Governo hanno davanti è quella di tornare a crescere. Dopo i dati deludenti sul Pil nel secondo trimestre e il richiamo di Moody's si sono fatte più frequenti, sui giornali e sui blog, proposte e ricette, più o meno valide, per il rilancio del Paese.

L’Italia sembra stretta in una morsa mortale tra parametri europei, riforme strutturali e stagflazione. Cosa fare allora? E’ ancora possibile rispettare i criteri di spesa e di deficit imposti dall’Unione europea e rilanciare l'economia?

In attesa che si definiscano nuovi parametri di flessibilità, magari legati agli investimenti pubblici, proponiamo una mossa in linea con la politica monetaria della BCE per stimolare la ripresa degli investimenti privati, quelli che Draghi correttamente identifica come mancanti all’appello in Italia.

Esattamente come quando il Governo è intervenuto per ricapitalizzare le banche italiane con i Tremonti bond e i Monti bond e come ha fatto andando in aiuto della Grecia emettendo debito, proponiamo di utilizzare nuove risorse prese a prestito esplicitamente ed esclusivamente per sollecitare la ripresa interna e europea.

Un Piano Marshall italiano per l’Italia, a favore dell’Europa e della sua sopravvivenza, che preveda l’emissione di debito sul mercato per fare prestiti alle piccole e medie imprese che desiderano avviare, in Italia, programmi di sviluppo, ricerca e investimenti produttivi. Prestiti che, in questo momento, nemmeno la BCE con la sua politica riesce a far pervenire al sistema imprenditoriale via banche, dati i tassi troppo alti e la carenza di domanda interna.

Per questo proponiamo di emettere fino a 16 miliardi di titoli (1% del PIL) indicizzati all’andamento del PIL stesso - e dunque attualmente con un costo estremamente basso per le imprese vista la deflazione e la recessione in cui siamo intrappolati - ed indirizzati esclusivamente a raccogliere risorse per finanziare investimenti privati realizzati da PMI che intendono innovare ed esportare. E’ dunque un’emissione di debito destinata non a finanziare la spesa pubblica corrente, come avviene con le consuete emissioni, ma per far ripartire la crescita oggi e a sostenerla in futuro, esattamente là dove par essersi incagliata. I denari si renderebbero disponibili a tutte quelle imprese che, senza troppe condizioni, sono disposte a crescere investendo sul loro futuro, che è poi quello del Paese. Sono evidenti i riflessi positivi sull’occupazione.

Ecco il patto con i cittadini: nuovo debito per investimenti. E se le imprese li scelgono bene (di solito lo fanno), cresce il PIL, ed il loro debito è ripagato con gli interessi.

Ovviamente è importante capire come potrebbe reagire ad un piano di questo tipo la Commissione europea, che ne valuterebbe l’impatto contabile sulle grandezze di finanza pubblica ancor prima che sulla crescita economica.

L’impatto sul deficit pubblico sarebbe nullo, perché la spesa per interessi dello Stato sarebbe coperta dalle entrate degli interessi pagati dalle imprese. Addirittura, inizialmente, essendo i bond indicizzati ala crescita del PIL che è oggi nulla o negativa, Stato ed imprese non pagherebbero interessi. L’impatto sul deficit potrebbe nascere successivamente, per eventuali perdite dovute a quelle imprese che non restituiscono i prestiti. Le imprese con crediti non ancora pagati da parte della pubblica amministrazione pagherebbero gli interessi ed il capitale nella misura in cui questi superano l’ammontare del loro credito. E quando l’economia riprenderà ed il costo del debito salirà, le imprese saranno in grado di ripagarlo, in quanto sono cresciute loro stesse.

Nella posizione finanziaria netta del settore pubblico non si avrebbero sostanziali modifiche: tanto prendo a prestito, tanto presto. Tuttavia, siccome il debito in Europa è contabilizzato al lordo degli attivi, si avrebbe un peggioramento statistico del debito nominale, ma nella misura in cui i prestiti riavviano la produzione industriale, l’impatto dell’emissione verrà riassorbita dal rapporto debito/PIL grazie alla crescita del prodotto interno via investimenti, oggi al lumicino.

Questa misura, oltre ad avere un impatto neutro sul deficit pubblico, ha il vantaggio di essere operativa con i tempi tipici di una decisione dì investimento del mondo privato; ed aiuterebbe in ultima analisi anche il sistema bancario visto che genererebbe la ripresa di tanti suoi clienti, disincagliando credito bloccato ed avviando un circolo virtuoso di sviluppo.

La misura potrebbe essere ritenuta un “aiuto di Stato” da parte dell’Unione Europea? Ci sono ampi margini discrezionali della Commissione per giudicare quest’intervento come compatibile con il mercato comune; esso persegue obiettivi di interesse europeo (la formazione, la lotta alla disoccupazione, l'incremento delle attività di ricerca, sviluppo e innovazione, la tutela delle PMI) in un Paese fondamentale per la tenuta dell’Unione e dell’euro. L'Unione si fonda sui valori della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani. Tutti valori che non possono essere soddisfatti se non attraverso lo sviluppo economico. Il rischio di non far nulla non è forse peggiore?

Secondo l'Istituto Piepoli, in una ricerca presentata nella sala Nassirya del Senato della Repubblica il 6 Agosto scorso, gli Italiani sarebbero disposti a dare credito (ulteriore) al Paese. Sfruttiamo quest’apertura.
Jacta alea esto.

giovedì 14 agosto 2014

Europa esci dallo stallo economico! Coraggio!

I dati di stamane sulla crescita economica nei Paesi Europei non fanno altro che confermare le nostre preoccupazioni. L'austerità non sempre è la ricetta giusta.

Oggi Mr. Sapin, il ministro delle finanze francese ammette di dover rivedere i target di deficit per il 2014 e il 2015 causa minore crescita. Non è stato neppure sfiorato dall'idea di una manovra correttiva. Sa che minore spesa o maggiori tasse non possono che peggiorare la situazione.

Ora la Francia aveva già avuto due anni di delay dall'Europa per rientrare nel tetto del 3%. Qualcuno teme che chiedere un anno in più possa ridurre la credibilità della Francia agli occhi dei partner europei.

La verità è che ora tutti hanno capito che non si deve tenere il mantra dell'austerità a tutti i costi, solo che hanno paura ad impostare qualcosa di nuovo. Bisogna avere coraggio ora nel cambiare un atteggiamento che sta distruggendo il vecchio continente.

Abbiamo bisogno di un nuovo Piano Marshall in Europa. Solo che stavolta non possiamo aspettare che qualcuno venga in nostro aiuto. Siamo grandi abbastanza; non forse così coraggiosi come dovremmo.

domenica 3 agosto 2014

Se il calafataggio diventa un'arte perversa.

I calafati erano una casta potente nella Repubblica marinara di Venezia. Si occupavano di impemiabilizzare le navi. Arte difficile, con pece e canapa dovevano rendere sicuro il viaggio dei galeoni, militari e commerciali. Alla loro arte era affidato il successo o la sconfitta della Repubblica marinara.

Anche oggi i calafati sono molto potenti. Ma lavorano per impemiabilizzare il Paese dalle riforme. Chi li chiama burocrati, chi lobbisti, chi senatori, chi mandarini, ma in realtà si tratta di una trasversale organizzazione spontanea e indifferenziata che vuole mantenere lo status quo.

Diciamolo: il Paese non vuole cambiare. Come scrisse Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo unico libro "il gattopardo" , se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi!

Dati gli avvenimenti di questi giorni, delle due l'una. O il sistema dei calafati ha veramente paura del cambiamento, e questo vuol dire che Renzi incarna il vero cambiamento, oppure i calafati hanno trovato un loro gattopardo che cambia tutto per non cambiare nulla.

Io penso siamo di fronte ad un vero cambiamento. È i calafati moderni stanno avendo paura. Almeno in cuor mio lo spero.