martedì 13 settembre 2016

La Germania pronta a rivedere l'austerità in Europa! Beh non ancora

Interessante articolo apparso oggi su "La Stampa" versione on line. Questo il link dove potete leggere il pezzo. Si tratta di un intervista a Jacob Lew - Segretario del tesoro americano - che ha degli aspetti molto interessanti. L'articolo inizia così: 'Il dibattito fra austerity e crescita è finito: tutti concordano sul fatto che in questo momento bisogna alimentare la crescita'. Incoraggiante direi. 

Il punto centrale dell'intervento però è più avanti quanto Lew nota, con riferimento alla Germania che 'secondo le loro stime, usano una frazione significativa dello spazio fiscale che hanno'.  E prosegue: 'Non credo che vedremo un cambiamento di filosofia in Germania, però penso che abbiamo già visto un mutamento delle pratiche". 

Insomma, un colpo al cerchio ed uno alla botte: la Germania sta facendo qualcosa per aiutare la crescita, ma potrebbe fare di più. A scuola avremmo detto "il ragazzo è intelligente, ma non si applica". 

Senza pensare al surplus commerciale della Germania che dovrebbe far scattare delle azioni nell'UE, in Europa non si ha la sensazione che il governo tedesco sia più favorevole ad interventi per la crescita, non oltre il livello che assicura un margine di sicurezza rispetto al 3% del rapporto indebitamento su PIL. Quindi, da un punto di vista tecnico, il 3% è stato ridotto al 2,8 e nessuno l'ha notato o fatto notare. Altro che maggiore flessibilità o cambio delle pratiche! Tutt'altro. 

Se si applicassero le regole cum grano salis, il tema di avere un bilancio corretto per il ciclo sarebbe neutralizzato dall'osservazione che il ciclo economico non c'è e non si prevede di vederlo tornare a meno che non si dia corso a quanto detto nel G20 (più investimenti pubblici) è ricordato da Mario Draghi giovedì scorso. 

L'Europa deve riconoscere il suo graduale declino, legato anche alle misure di austerità, controintuitive vista la situazione dell'economia, ma anche alla mancanza di una politica industriale comune, che metta insieme le eccellenze nazionali in un progetto di sviluppo europeo. 

Ma sono tutti concentrati sulle elezioni nazionali o appuntamenti referendari per poterci lavorare. 

domenica 11 settembre 2016

Rilanciamo l'Italia con la PPP!

L'Italia è uno dei paesi dove la partnership pubblico privata è meno utilizzata; nei casi in cui ci è stato fatto ricorso, la parte pubblica ha dovuto garantire eccessivamente la parte privata, disconoscendo quindi il valore della partnership.

Questo è dovuto a diverse cause che però non sono oggetto di questo post.  Idea che vorrei lanciare è quella di una partnership dove il privato effettua l'investimento - a seguito della vittoria di una regolare concessione - tutto a suo carico e dove lo Stato riconosce un credito di imposta pari al 50% dell'investimento effettuato solo una volta che lo stesso è concluso e operante. 

Se per esempio dovessimo realizzare un parco eolico offshore, il privato sarebbe chiamato a realizzate tale investimento ricorrendo al capitale proprio e al debito bancario sapendo che gli verrebbe riconosciuto dallo Stato un credito di imposta che gli consente di recuperare in cinque anni la metà del proprio investimento.  E così  si otterrebbe l'allineamento degli interessi tra il pubblico, che vuol veder realizzata l'opera, e il privato che la vuole realizzare onestamente avendo come partner lo Stato che è disposto a ripagare il 50% dei costi sostenuti per un'opera funzionante ed operativa. I proventi poi derivanti dallo sfruttamento della concessione saranno, come oggi, a favore del privato. 

Questa semplice rivoluzione avrebbe un costo a carico dello Stato - come oggi - a fronte però di opere realizzate e in grado di rispondere alle esigenze per la qugale era stata fatta un'asta per una concessione. 

Certo c'è bisogno di un settore privato in grado di mettere capitale - che verrà ben remunerato - e prendere a prestito debito, che sarà ripagato grazie all'utilità dell'opera.  Sì perché un effetto di questa riforma sarebbe che nessuna privato è disposto ad investire se lo opera non è in grado di generare terminati di turni e dunque se la sua attività economica non emerge dagli attesi  ricavi per il suo esercizio. 

Naturalmente resterebbero spazio per le opere pubbliche, tipicamente tutte a carico dello Stato. Ma in questo modo si potrebbero realizzare investimenti privati, aventi interesse pubblico, e per i quali gli elementi economici emergerebbe dalla partecipazione alla gara indetta dal settore pubblico in modo molto trasparente. 

sabato 10 settembre 2016

Pronti per i due Euro?

Sono sicuro he la dichiarazione di Atene di ieri abbia aperto un nuovo capitolo della storia dell'Unione Europea. 

Alcuni segnali erano arrivati da eminenti economisti, che hanno cominciato a teorizzare come sia più conveniente  tornare indietro dall'euro rispetto a proseguire nella strada intrapresa alcuni decenni fa. 

Presenti Grecia Francia Italia Portogallo Spagna Malta e Cipro,  da Atene ieri è partita ieri la proposta di un'Europa più solidale, con meno tecnicismi, più crescita e coesione. A pensarci bene nulla di diverso da quello che i trattati di Roma proponevano di fare, affidandosi ad una visione politica di un'Europa unita e in grado di essere punto di equilibrio nel mondo. 

Leggendo bene l'ultimo lavoro di Joseph Stigliz, mi sembra di arrivare a conclusioni opposte a quelle propinate recentemente sulla stampa da commentatori e movimenti politici proprio a partire dal suo lavoro. La mia conclusione è che siamo ad un punto di svolta così importante, tale da far paura a chi non vuole che l'Europa resti unita e si rinsaldi dietro una visione politica di unità e solidarietà sociale. Ma chi può non volere il progetto europeo? 

Ognuno di voi lettori può certamente rispondere; la mia idea è che siamo proprio noi cittadini dei paura del cambiamento che l'Europa Unita può portare.  Questo ci fa rinchiudere in noi stessi, e da animo alle richieste nazionaliste di ritorno alle monete nazionali e di rifiuto dei migranti. Insomma siamo vittime della nostra paura di giocare un ruolo attivo all'interno di un mondo sempre più complesso. 

La lunga stagnazione economica porta con sé un'altra vittima: l'ideale che aveva mosso i fondatori dell' Unione Europea. Facciamo in modo che non sia così!