sabato 31 ottobre 2015

Vi dico perchè la spending non funziona col Commissario

Quando Tommaso Padoa Schioppa inserì nella legge finanziaria il servizio studi della RGS - su spinta forte di Riccardo Faini - l'idea della spending review era molto diversa da quella che si è poi affermata. L'idea era quella di aiutare le Amministrazioni dello Stato a capire come spendono e instaurare un meccanismo di valutazione in grado di farlo.

Sarebbe stata la fine del budget a spesa incrementale e dei tagli lineari. I due principali strumenti di politica di bilancio utilizzati in Italia e l'inizio di una nuova era. "Value for money" o "efficacia della spesa" sarebbero diventati termini comunemente utilizzati nei ministeri, oggi troppo pigri per capire se stanno spendendo bene o male. La qualità della spesa sarebbe diventato il fulcro della spending review. Adesso avremo un sistema economico diverso e un bilancio pubblico completamente ricomposto.

Se il governo Renzi e il suo Ministro dell'Economia vogliono lasciare il segno in questo Paese, non possono non capire che un Commissario esterno alle strutture ministeriali vive di notizie che gli vengono date da strutture che non vogliono i tagli, o da terze parti pronte a propinare la propria ricetta miracolosa per ridurre la spesa. 

Occorre far riflettere i Ministri su come stanno spendendo, quali risultati volevano raggiungere e quali hanno invece raggiunto. Troppe le leggi di spese che non riportano i risultati attesi; scarso il monitoraggio sui risultati. Meglio controllare lo stato di attuazione dei provvedimenti (quanti decreti attuativi il Governo ha approvato) o stuzzicare i Ministri a capire cosa stanno facendo con i soldi rastrellati ai cittadini?  

La proposta che ho avanzato in questo blog può essere decisiva (Serve una regola alla spesa). Ogni ministro saprebbe in anticipo le risorse di cui può disporre e sulle quali può contare per le politiche a cui è preposto. Dovrebbe fare delle scelte, coadiuvato dalla struttura tecnica del proprio dicastero e dal quello dell'economia. Il Parlamento prima (nella fase di allocazione delle risorse - durante la legge di stabilità) e la Corte dei Conti dopo (a consuntivo, non per punire ma per migliorare la qualità della spesa) potrebbero aiutare nel processo. 

Coraggio, ce la possiamo fare!

venerdì 16 ottobre 2015

La manovra di Matteo e Piercarlo. Peccato manchi una regola per la spesa.

Finalmente una manovra annunciata a favore della crescita. Basta pensare che si poteva fare di più, magari sforando il 3%. Chi bene inizia è a metà dell'opera. 
La riduzione dell'Ires a ben guardare è poca cosa: sono 3.000 euro ogni 100.000 euro di utile tassato (la bottom line). Molto intelligente l'incentivo sugli ammortamenti, copiato dalla legge Macron in Francia, dove ha dato buoni frutti. Ma, come intuisce oggi Forquet sul IlSole24ore, la copertura è evanescente. Qualche una tantum, l'appello alle clausole di flessibilità. Speranza di crescita. 
Manca una regola generale sulla spesa della PA. 
Il mio suggerimento è di introdurre una regola per cui la spesa pubblica non può crescere più dell'inflazione attesa (o programmata se preferite). 
Se i ministri di spesa vogliono più risorse per un intervento piuttosto che un altro, semplicemente dovranno chiedere una diversa allocazione delle risorse. Insomma, fare delle scelte che li espongano al giudizio del cittadino sulla capacità di fare politica nel nuovo millennio. Non basta certo la camicia bianca e non portare la cravatta, ovvero usare il blog per millantare ricette nuove e generose. 
La politica economica è scelta. La politica è visione. La politica è saper sfruttare quello che c'è a disposizione. 
Certo sarebbe la fine delle "mance" che spesso spuntano nelle leggi si spesa. Io non ne sentirei la mancanza. Sarebbe anche il modo giusto di fare Spending review: vedere dove allocare le risorse, riducendole là dove servono meno e farle rendere di più. Lo chiamano Value for Money (i vecchi come me efficiente allocazione delle risorse). 
Inoltre, con una regola semplice sulla spesa, il dibattito si concentrerebbe sulle scelte e non sugli slogan o sulle richieste impossibili. 
Un discorso a parte meritano gli investimenti e la scuola, su cui concentrare le maggiori risorse del Paese. Ma su questi temi torno dopo con un altro post. Intanto, continuiamo a sperare in un'Italia migliore. 

domenica 4 ottobre 2015

L'Europa del benessere è lontana. I Noeurini possono stare tranquilli.

L'UE, così come è fotografata oggi dai dati economici e dalle discussioni su come riprendere il cammino di integrazione economica e politica, è la conseguenza del processo di integrazione sbilenco seguito all'introduzione della moneta unica. 

Grazie a regole contabili da ragionieri - che nulla hanno a che fare con la politica economica - e una politica industriale che impediva agli interventi degli Stati di servire a ridurre le disparità tra sistemi produttivi per crearne uno Europeo - al riguardo vedi il mio post Il caso wolkswagen risveglierà l'Europa) - le differenze tra Paesi europei si sono consolidate. 

I Governi dei diversi Stati dell'Unione, di fronte alla crisi del 2008, hanno reagito diventando sempre più egoisti e tradendo lo spirito dell'Unione. In luogo di capire che erano le regole contabili a non funzionare, i Paesi Membri hanno messo in discussione l'Europa stessa. Conseguentemente, l'Europa si è mostrata lenta ed indecisa sul da farsi, facendo emergere interessi di parte, contrastanti tra di loro. Allo stesso tempo le differenze sono diventate sempre più evidenti, esacerbate dalle vicende greche e degli immigranti. 

In tutto questo, si è persa la capacità dell'Europa di competere su scala globale; i ritardi di competitività di molti Paesi europei penalizzano l'intera area. Pensare in modo egoistico al futuro del proprio Paese, nell'ambito di un'unione monetaria,  vuol dire "comprare" un pò di tempo a scapito dei propri partners, prima di affondare. 
Presi singolarmente, alcuni Paesi europei hanno caratteristiche per competere a livello globale, peccato che non abbiano le dimensioni del mercato degli Stati Uniti, del Brasile, della Cina. L'UE,  invece, rappresenta un mercato di 500 milioni di persone, la più grande economia della Terra, con 14.000 miliardi di euro di PIL ed una capacità sociale unica per tradizione e cultura. 

Per riprendere la corsa verso lo sviluppo sono sufficienti le tre iniziative della Commissione Europea (Enargy Union, Capital Markets Union e Digital Single Market)? Direi di no. Mi sembrano specchietti per le allodole. 
Fintanto che gli Stati non trovano meccanismi di governance veri, finché il dibattito non si sposta sul ruolo del Parlamento, per farlo diventare il motore democratico dell'Unione, e non si parla di bilancio federale e di debito pubblico europeo, i noeurini possono stare tranquilli. L'Europa dello sviluppo e del benessere è lontana.