venerdì 20 maggio 2016

Appuntamento per la crescita economica in Europa. Speriamo.

La priorità europea della crescita passa per maggiori investimenti pubblici e per una revisione delle regole. Lo hanno capito tutti, ma le elezioni politiche in Germania e in Francia non consentono di ammetterlo. Attendiamo quando le Landesbank tedesche, a causa del QE, richiederanno a Berlino di agire per la crescita economica. Nel 2017. Forse. Occorre agire, però. 

Sul primo aspetto, quello degli investimenti pubblici, ho già più volte espresso la mia opinione, che coincide con molti più valenti economisti e politici, ovvero: occorre mettere da parte il limite arbitrario del 3% del PIL al deficit e, tutti insieme, investire per il futuro del Continente. Politiche isolate non avrebbero l'effetto di riattivare la domanda interna europea. 

Parallelamente, occorre completare il mercato unico. Questo è la forza del progetto europeo. Ma la frammentazione delle norme dei vari paesi membri e le differenti procedure amministrative impediscono al mercato unico di formarsi. Ma su questo tema, la discussione europea è al palo. In realtà, la discussione è ferma su molti altri argomenti (banking Union, regole fiscali, emissione di Bond a valere sul 
bilancio federale, ministro delle finanze federale). Sarà un caso? Mah!

Se le regole sono diverse nei vari Paesi, possiamo poi chiedere lo sviluppo di infrastrutture cross border (strade, ferrovie) o ai progetti di avere una scala Europa (penso ad esempio alla banda larga) in modo da consentire alle imprese di poter accedere, con i propri prodotti, al mercato unico? 

È sempre la differente impostazione normativa che non consente aggregazioni logiche tra imprese Europee, in un ottica di competizione tra Europa e il resto del mondo. Lo stesso vale per la finanza per le imprese, che si muove ancora in ambito prevalentemente domestico, viste le differenza, ad esempio, nei sistemi che regolano la bancarotta e per fare credito. 

Urge un'azione decisa sul fronte normativo europeo. Con regolamenti immediatamente efficaci che eliminino questa barriera.  La prima da eliminare. 

Sembra che i Parlamentari europei e la Commissione si dimentichino che sono pagati dai contribuenti europei per lavorare nell'interesse dell'Europa e non dei singoli Paesi. Questo vale anche per i funzionari delle istituzioni europee. 

In un precedente post (Vedi) ho detto che occorre più fiducia tra i Paesi Membri dell'Unione. Serve di più. Coesione di intenti 

giovedì 19 maggio 2016

Le raccomandazioni UE all'Italia, semaforo giallo a Renzi?

Oggi i giornali europei commentano in vario modo la decisione della Commissione europea di dare il via libera alla legge di Stabilità italiana per il 2016, in cambio di impegni per il 2017. A causa di un debito pubblico ancora molto sopra il 60%. Per questo la Commissione ha promesso un nuovo rapporto sull'indebitamento dell'Italia entro novembre. Suona come una minaccia in vista della prossima legge di stabilità, che appunto si presenta a metà ottobre. 

Il rapporto promesso dalla Commissione sarà l'occasione per fare il punto sullo stato delle finanze pubbliche italiane, dopo il referendum sulla legge costituzionale (quella che cambia il volto del Senato per intenderci). Voto che potrebbe creare problemi a Renzi, ma che potrebbe anche rappresentare il rilancio della sua azione, nell'ultimo decisivo anno di governo. In questo secondo caso, è probabile che Matteo Renzi presenti una legge di stabilità in tono elettorale (gli annunci su abolizione di Equitalia e riduzione delle imposte sul reddito lo fanno intuire). È questo forse non è gradito all'Europa. 

L'Europa vuole tenere a briglia stretta il Bel Paese - non sia mai dovesse ritornare a crescere - ed  hanno avuto facile gioco a rilevare limitati tagli alla spesa e la mancata liberalizzazione dei servizi. Ed ovviamente l'alto debito. 

E allora stupiamo l'Europa. Diciamo che la riforma strutturale di cui ha bisogno il Paese è la capacità di investire sul suo futuro. Istruzione e infrastrutture, meno leggi, più buona amministrazione, che porterebbe anche a minore corruzione. Per istruzione e infrastrutture  bastano gli zero virgola concessi dalla flessibilità, basta renderli strutturali. Avere meno leggi-procedura dipende dal Parlamento. La buona amministrazione dipende dalla formazione e dalla guida politica. Si può fare. 

Ma anche l'Europa ha bisogno di una riforma strutturale. Di impostazione, per la crescita. Di questo non si parla mai. 

sabato 14 maggio 2016

Fermare il declino del Paese, partendo dal Sud

Il Paese ha da molto tempo imboccato un lento processo di declino. Tutto è iniziato perché la politica non è stata in grado di rigenerarsi dopo "mani pulite" ed ha prodotto un sistema di potere che si è ripiegato su se stesso, chiuso alla possibilità di rinnovo. A dimostrare la nostra fase di declino c'è il sud Italia. A parte gli annunci, la situazione delle regioni meridionali sta a rappresentare il fallimento della nostra classe politica.  

Il processo non è però irreversibile.

Nessun Paese può permettersi di "trascinare" un altro Paese, dimensionalmente uguale, né di sopportarne i costi. Così il Nord non può trascinare il Sud. 
Ma la colpa non è del Sud, o almeno non tutta. C'è una buona classe produttiva, delle grandi università, ma mancano infrastrutture e legalità. Sopratutto si è cercato di trapiantare l'industria con gli incentivi e non si è ascoltato quello che la classe imprenditoriale chiedeva per il Sud. Finiti gli incentivi, mancando ancora le infrastrutture, gli unici rimasti sono gli imprenditori nati al Sud (con qualche bella eccezione). 

Non servono politiche speciali per il Meridione. Serve una governance pubblica che punti sulle eccellenze del territorio. Serve in tutto il Paese, ma iniziamo dal Sud.
Un apparato amministrativo pubblico che, superando i veti burocratici tra vari enti, consenta di realizzare le infrastrutture necessarie allo sviluppo delle imprese rimaste attive (il 50% ha chiuso dal 2008), la cui redditività è in crescita. Queste imprese operano in vari settori (chimica, manifattura, agroalimentare, gomma e plastica, Aereospazio) che possono offrire un contributo decisivo al rilancio del sud. 

Contemporaneamente, occorre puntare su contesto e capitale sociale. Le università vadano nelle imprese, nella pubblica amministrazione e chiedano quali professionalità servono. Molti imprenditori cercano figure qualificate e non le trovano se non assumendo da altre regioni o all'estero. Ed è difficile che queste persone poi rimangano. 

Infine, imponiamoci a Bruxelles. La spesa per investimenti delle regioni meridionali sia fuori del Patto per 5 anni. Se riparte il sud, riparte l'Italia. Forse qualcuno ha paura di questo? E se riparte il Pil, il debito pubblico scende (Leggi qui).

Storia, capacità imprenditoriale e capitale umano. Molto c'è già. Ma non basta agitare per ottenere un cocktail. Serve la buona politica. 

mercoledì 11 maggio 2016

Per uscire da debito, c'è solo la strada della crescita economica.

La Commissione Ue ha tenuto ieri una prima riunione sulle sue prossime decisioni di politica economica; la UE deve pubblicare la settimana prossima nuove raccomandazioni-paese e la sua valutazione della Stabilità 2016. L'andamento del debito italiano rimane lo scoglio più importante da superare e fonte di perplessità, tanto che - si assume dai giornali - il ministero dell'Economia ha deciso di inviare una lettera a Bruxelles per sottolineare quanto gli sviluppi del debito siano negativamente influenzati dalla congiuntura. 
Il tema è proprio questo. L'Italia deve investire di più sulla crescita, che non si fa solo con le pur importanti riforme strutturali. Ma sopratutto investendo negli skills e nelle infrastrutture. Per questo l'Italia dovrebbe avere ed ottenere tutta la flessibilità del mondo. Spendere meglio e di più in scuola e servizi logistici, ridurre il peso del fisco dovrebbero essere la nostra priorità. 
Partiamo mettendo da parte la ruggine tra istituzioni (leggi qui) e anche a livello europeo (Approfondisci). Si può fare! 

domenica 8 maggio 2016

L'anomalia di un Paese normale. Essersi dimenticato di essere eccezionale.

in un mondo che cambia in modo continuo e che è alla ricerca di un nuovo equilibrio, l'Italia è alla ricerca della sua nuova identità. Corrosa da una continua polemica, mai costruttiva, il nostro Paese sta perdendo la sua identità, vagando alla ricerca di nuove opportunità, quelle che il contesto globale ci offre. Opportunità, ma anche rischi che aumentano se stiamo fermi o, peggio, ci muoviamo senza una visione, cogliendo qua e là effimere illusioni, come quelle che ci portano a vendere le migliori aziende ad imprese di Paesi che, una volta impossessatesi del know how, lasciano l'Italia, che diventa solo un mercato di sbocco. Finché il reddito tiene. Poi... 

Il mondo ha sempre più bisogno di energia e tecnologia. Qual'e la nostra policy? Su questi due elementi si giocherà il futuro delle città, della medicina, della gestione dei rifiuti. Ma anche quello del tipo o Made in Italy, della catena alimentare. E cosa stiamo facendo per posizionarci in modo deciso? 

Ogni regione, ogni città, ha una politica di sviluppo. Spesso concorrenziale rispetto alle altre realtà italiane, mai integrante. Pensate ai porti. Sembra che i nostri politici siano rimasti alle Repubbliche marinare. Ognuno per sè. Così però perdiamo tutto. Come pensiamo di fare concorrenza ai porti del nord Europa se non puntiamo tutte le risorse e le capacità su una infrastruttura e sull'alta capacità del trasporto merci dal porto ai mercati di sbocco? Non sarebbe ora di pensare ad un macchina specializzata per l'accoglienza di studenti universitari, con alloggi, corsi in inglese e francese, cinese, laboratori, strudentati e professori ben pagati in base alla loro capacità? Non è ora di consolidare le utilities detenute dagli enti locali per creare un gigante nazionale, utilizzando uno strumento come il fondo strategico? 

L'anomalia di un Paese normale è essersi dimenticato della sua eccezionalità e capacità di essere i numeri 1 nel mondo! Certo abbiamo bisogno di mettere da parte i campanilismi e remare tutti nella stessa direzione. Come disse una volta un mio amico, se non saremo seduti alla tavola dei grandi, vuol dire che saremo sul menù e saremo dominati da altri Paesi, forse meno democratici del nostro. 

Smettiamola di pensare egoisticamente al nostro interesse di breve e pensiamo al futuro del Paese!