domenica 24 luglio 2016

Le regole servono per i politici che non sanno regolarsi.

A chi in Europa si sta occupando di banche, consiglio vivamente di leggere questo paper di Ball http://www.econ2.jhu.edu/People/Ball/Lehman.pdf.  

La sua idea è che Lehman doveva e poteva essere salvata e che questo avrebbe evitato molti degli effetti negativi registrati dopo la bancarotta della banca. Almeno questo è il messaggio che mi lascia, dopo aver letto il paper. 

Ma ci sono altre lezioni che emergono dalla ricostruzione di Ball, che si avvale di molti documenti e delle ricostruzioni ufficiali disponibili sul crack Lehman. Ecco quelle che ho imparato io. 

1. Le regole ci sono e vanno interpretate in relazione ai momenti storici. Quando si scrivono non si possono avere in mente situazioni eccezionali, né tutte le situazioni. Probabilmente quanto stava accadendo nel 2008, anche se il fallimento di Lehman poteva essere evitato, richiedeva un forte segnale, i.e. la regola non scritta "Too big to fail" poteva non essere rispettata. Che in qualche modo il sistema bancario non doveva sentirsi al riparo dalle crisi, solo perché questo avrebbe provocato un problema sistemico. Il sistema politico mondiale era pronto a subire le conseguenze del fallimento, pur di dare un segnale? 

2. È ormai evidente che il salvataggio della banca americana avrebbe evitato la profondità della di recessione che abbiamo vissuto. Forse si dovrebbe accedere ad un'altra spiegazione, ovvero che Lehman era diventata fastidiosa per il sistema o forse si era disallineata rispetto ad un certo modo di operare. Ma si tratta di fantasia. 

3. La capacità di interpretare le regole dipende dalla capacità politica di saper prendere decisioni. Occorre scegliere, anche in condizioni di non perfetta informazione. Attaccarsi alle regole mentre la nave affonda, illudendosi che saranno le regole a salvare la ciurma e i passeggeri, perché così dicono le regole, è poco sensato. Siamo arrivati alla Brexit e ancora non abbiamo capito che il problema risiede regole fiscali che ci siamo dati  e a quelle che vengono imposte alle banche. Salvo poi fare statement pubblici circa la lotta alla disoccupazione e in favore della crescita economica, ripetendo il mantra che il rigore fiscale sempre e ad ogni costo favorire la crescita economica. Ma questa politica è in grado di prendere decisioni? 

4.  Le decisioni di un Paese pesano sul resto della comunità mondiale. Lo fu nel caso di Lehman. Lo è nel caso della Brexit. Il mondo è globale anche in questo. 

Pericle ha ancora molto da insegnarci.

La situazione politica mondiale è in subbuglio. Persi i tradizionali punti di riferimento, il mondo globalizzato è alla ricerca di un nuovo equilibrio. 

Alcuni pensano che nel disordine globale si possa pescare meglio. E credono che il senso della parola democrazia sia quello di consentire a chi ha i mezzi di influenzare il destino degli altri. Pensate alle teorie di Casaleggio, non certo sue, che teorizzavano la democrazia del web. Penso al discorso di Pericle ed ho i brividi pensando a come è mal interpretato da queste forze, a cui non so dare un nome o un aggettivo per definirle. 

Chi le chiama lobby, chi massoneria, chi gruppi di interesse. Il punto è che sono forze in grado di definire una strategia, finanziarla e se non porta dove avevano pensato, cambiano linea, alleanze. Sono forze disposte a pagare qualsiasi prezzo pur di ottenere il loro obiettivo. 

Un'Europa asfittica, senza capacità di reazione sul fronte internazionale, stretta tra il terrorismo, la disoccupazione, l'immigrazione, è quello che oggi queste forze vogliono. Alcuni sono semplici ed ignari strumenti di queste azioni, altri sono gli architetti, altri sono i mandanti. 

Purtroppo, le forze veramente democratiche in grado di contrastare questa situazione si stanno esaurendo. Sono poche le generazioni che ricordano e hanno studiato le democrazie, i sistemi autoritari, e che sono in grado di reagire a queste forze. 

Magari sbaglio. Magari si tratta dell'egoismo dell'animo umano che porta a cercare il proprio benessere a scapito di quello degli altri. Quelli che dicono "faremo del mondo un posto migliore" magari - a bassa voce - aggiungono "ma non per tutti". 

Pericle nel suo discorso, ad un certo punto dice: "Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla." 

Iniziamo d occuparci dello Stato, non a deriderlo o prenderlo in giro. Non votiamo per protesta o seguendo la moda; votiamo per esprimere un'idea. E se non ci sono idee da votare, discutiamo per costruirle. 

domenica 10 luglio 2016

Il declino dell'Italia ha radici profonde. Il Tempo delle mele è finito.

Corsi e ricorsi storici. La storia non si ripete, ma insegna. Oggi ci troviamo in una situazione simile a quella del secondo dopoguerra. Ma la differenza è abissale. L'Italia del dopoguerra è aiutata a risollevarsi da un grande Piano Marshall e dalla benevolenza Alleata che vede in noi una piattaforma per la sicurezza nel mediterraneo. Oggi siamo chiamati a salvarci da soli. 

I nostri politici sfruttano bene la situazione negli anni '50 e '60 e questo determina un grande sviluppo del nostro Paese, ma anche un grande spreco. Infatti, pensiamo che la benevolenza e i denari altrui non debbano finire mai. È un po' come la sindrome di Peter Pan, non cresciamo. 

La nostra classe politica è immatura perché il Paese è immaturo. Siamo sempre alla ricerca dell'uomo forte, di quello che risolve la situazione, senza che ci si debba impegnare o soffrire per ottenere qualcosa; che poi è un futuro per i nostri figli. Così è stato per Belusconi, che per 20 anni ha incarnato l'uomo della speranza, il "cummenda" in grado di portare libertà e conservazione. Poi è spuntato il nuovo uomo della provvidenza, Monti. Poi Matteo Renzi. Ora il MS5. 

Inutile nasconderlo. La situazione è grave, e non può migliorare se non iniziamo a comportarci da cittadini adulti. Se come Italiani non riconosciamo la circostanza che è finito il "Tempo delle mele" e che abbiamo ormai perso la nostra posizione strategica militare. Rimpiazziati da altri, ma sopratutto incapaci di riconoscere che dovevamo fare una miniera della nostra posizione geografica per: 
  1. il commercio, dovevamo essere il "porto d'Europa" che invece abbiamo lasciato ad Amsterdam. 
  2. il turismo; con oltre il 90% del patrimonio storico artistico del mondo, dovremmo essere la meta più visitata al mondo. Invece è difficile persino raggiungere i luoghi d'interesse per mancanza di infrastrutture adeguate - ricettive e di trasporto -  e di organizzazione. 
  3. Le energie rinnovabili. Il Bel Paese. All'avanguardia nella ricerca per la generazione di energia pulita dalle maree, mai terminata per carenza di fondi. Eppure, quando si cerca di parlare di valutazione della ricerca o di Technology Transfer, si alzano barriere e muri per impedire qualsiasi cambiamento e meritocrazia. 
  4. le città e le università italiane. In lotta perenne per prevalere, invece che puntare sulla specializzazione e sul networking. Come se fossimo ancora in età comunale, con tanto di imperatore che - da lontano - impone e detta regole, come il fiscal compact. 

Questa immaturità la ritroviamo anche nella spesa pubblica e nelle Tax expenditure, cresciute a dismisura, frutto della necessità di una classe politica piccola piccola che ha creato un sistema di mancine per tutti, sotto forma di legge. Altro che interesse generale. Lo stesso se penso al Fondo Strategico, solo di nome, che non ha favorito aggregazioni o rafforzamenti patrimoniali delle nostre imprese. 

Se la nostra classe politica e noi stessi capissimo che siamo in declino e che tra poco il Paese sarà marginale in qualsiasi contesto, non avremmo paura del referendum di ottobre, saremmo presenti nelle aree del mondo dove serve assicurare un'azione di polizia, avremmo onorato la nostra amicizia con gli Stati Uniti senza tentennamenti,  definito una diversa politica economica in Europa,  eliminato " la spesa mancia",  puntato su poche eccellenze e buone infrastrutture, non avremmo abbandonato la politica industriale. 

Forse si può ancora fare, ma da cittadini smettiamo di lamentarci e iniziamo a chiedere unità  nazionale. Insieme si vince. Altrimenti siamo destinati alla povertà e miseria. 

Chi lo dice ai milioni di italiani morti per la nostra libertà? 

domenica 3 luglio 2016

Italia, il colosso d'argilla europeo che può cambiare il corso del destino europeo

Un po' come nell'ultimo film girato da Bogey, la politica italiana sembra costruire nuovi leader con delle combine di palazzo, più o meno casuali. Leader in grado di attirare il popolo italiano, sempre in cerca dell'uomo forte in grado di risolvere la situazione. Leader che viene osannato finché promette, ma quando puoi non mantiene l'impossibile, viene cestinato, deriso, distrutto. 

Ora a Roma già si sente chi non è contento del nuovo sindaco (la sindaca) che non ha neppure iniziato il suo difficile lavoro. Oppure chi, di fronte al fatto che questo governo qualcosa ha fatto, pensa di dilapidare la poca credibilità acquista dal Paese, nel nome di una democrazia dell'alternativa che non c'è. 

Eppure vedete cosa è successo alla Gran Bretagna dopo il referendum frutto di un calcolo politico che avrebbe avuto vincitori e vinti contenti in caso di vittoria del Remain. E invece, dopo la Brexit, il Paese è allo sbando. 

Come dicevo in un precedente post (In Europa manca la fiducia reciproca) così è solo questione di tempo. Ancora pensiamo di risolvere i problemi fuori dal contesto europeo ed internazionale? Pensa veramente Salvini di dare un futuro all'Italia mimando quello che fanno altri politici in Europa? Ovvero uscire dall'Euro? 

Non possiamo certo pensare che popoli divisi da lingua e tradizione, ma uniti dalla moneta possano capire quanto è importante essere uniti e cercare di esserlo ancora di più in futuro? Questo pensano i noeurini e i Salvini. Eppure secondo me i cittadini europei lo capiscono molto più dei politici e dei burocrati europei. Capiscono che soli si perde. Ci vogliono credere in un'Europa unita. 

Non è più il tempo delle divisioni, ma di lanciare un nuovo patto costituente per l'Europa, dove la  solidarietà e non solo la moneta sia la base per lo sviluppo dei rapporti comuni. 

L'Italia può essere il motore di una nuova Europa. Solo se riesce a togliersi il suo provincialismo di dosso e prende una decisone. Essere leader di un'Europa, colosso d'argilla.




sabato 2 luglio 2016

A qualcuno piace caldo.

La situazione che si è venuta a creare dopo la Brexit è paradossale. Da un lato, sembra che il Governo  inglese non ha molta fretta di attivare le procedure di uscita. Farage, invece di dimettersi dal Parlamento europeo, preferisce mantenere la generosa diaria che gli è garantita dall'Europarlamento. Molto più coerenti altri sui colleghi, come Hill, che invece ha lasciato deleghe. Dall'altro canto, i Paesi europei, invece di lavorare per rafforzare l'Europa e correggere gli enormi sbagli commessi in nome del rigore finanziario e delle regole sugli aiuti di Stato, cominciano a prefigurare come attirare l'industria finanziaria che oggi vive allegra a Londra. 
Chi riuscirà nell'intento di portare l'industria finanziaria nel proprio paese, pensa di mettere un sigillo sul controllo del futuro dell'Unione. Così almeno si pensa. Non pensa, che in questo momento occorre collaborare e non cercare di prevalere. 
Intanto i mercati spingono al ribasso tutto, in particolare le banche. L'atmosfera si fa calda. Forse a qualcuno piace così. Una situazione tesa, dove lo spirito della crisi, spinge a emozionali scelte e - forse - errori. 

Eppure le condizioni eccezionali, previste dal Trattato dellUnione, ci sono. Continua a crescere il malcontento per la situazione economica e questo dà spazio a movimenti estremisti ma anche ai noeurini. Juncker è troppo vecchio per capire che la sua Commisisone non sta dando un futuro all'Europa. Merkel, Hollande e Renzi troppo preoccupati delle problematiche politiche interne. Nessuno si ricorda che da soli, i singoli Stati sono un boccone troppo facile nel mondo della globalizzazione. La Spagna, speriamo torni presto sulla scena e magari un po' meno filo tedesca. 

Matteo alza la testa. Non ti pavoneggiare mentre vai agli incontri con Merkel e Hollande. L'Italia ha risorse, uomini e competenze per presentare un documento per il riavvio dei motori europei. Guarda avanti e non pensare al tuo futuro, ma a quello dell'Italia. È il momento di farlo. Non importa se vinci o perdi il referendum se non abbiamo un futuro verso cui andare. 

Se a qualcuno piace caldo, a noi piace concreto. Il futuro. Ovvio.