giovedì 19 novembre 2015

La burocrazia inizia nel Parlamento.

Leggo oggi che finalmente anche l'Italia avrà il codice dei contratti approvato, introducendo anche in Italia le direttive europee. Nell'aprile 2016 però!


La Camera dei Deputati ha infatti licenziato il testo della delega al Governo per introdurre tale novità nel nostro Paese. C'è ancora il passaggio al Senato e, poi, la stesura dei decreti delegati.

La ritengo una buona delega. Un grande passo in avanti. E non sentite quelli che dicono "si poteva fare di più". Questo è vero sempre. 
Ma il punto che vorrei fare oggi è si potevano introdurre le direttive direttamente, già da un anno almeno, senza dover passare per una legge delega, semplicemente trasponendole nel diritto italiano. Ovviamente non è solo per queste Direttive che si procede in questo modo. Ma questo modo di procedere, questo ritardo, pesa sul sistema italiano.
Il problema è che il nostro sistema in questo modo non si adegua rapidamente - almeno a livello normativo - agli standard europei. Non mettendo le nostre imprese nelle condizioni di imparare le nuove procedure, o di seguire le nuove regole e partecipare alla vita economica europea ad armi pari. O peggio, a non affrontare il mercato europeo o avere dei costi amministrativi elevati per seguire procedure diverse in Paesi europei che dovrebbero seguire regole analoghe.
Nel caso specifico, dovremo poi scontare i tempi necessari alle stazioni appaltanti per digerire le modifiche al codice degli appalti. Si dirà che si è presa l'occasione per una riforma complessiva della materia. Il che non toglie che le Direttive potevano essere introdotte subito (come hanno fatto altri Paesi) e poi definire, attorno ad esse, la riforma.

La burocrazia inizia nel Parlamento. Mi viene il sospetto che la burocrazia sia un problema genetico italiano.


martedì 17 novembre 2015

Europa: grande delusione o grande speranza?

Dopo sette anni dall'inizio della crisi (settembre 2008) la situazione economica sembra non essere né brillante, né sulla via della ripresa. 

Perché? 
Perché le cause della crisi sono ancora intatte! Debiti privati e pubblici che non accennano a diminuire; la non corretta allocazione degli investimenti e dei sussidi alla produzione; austerità; demografia; tecnologia che riduce il bisogno di lavoratori e quindi spinge in alto la disoccupazione. Eccetera, eccetera, eccetera. 
Naturalmente, non è un problema solo italiano o europeo. Ma l'Europa fa di tutto per aggravare la situazione, con non scelte e rinvii. 

L'unica arma messa in campo, dal Giappone agli Stati Uniti all'Europa è stato il QE, che però appare ormai insufficiente a dare una spinta decisiva alla ripresa.  
Certo, il QE ha aiutato ad assorbire lo shock, ma ha anche illuso che potesse, da solo, dare impulso ad un nuovo ciclo economico. Come se potesse, di colpo, rimuovere quelle barriere che - normalmente - è la Politica economica ad abbattere. 
Ci eravamo anche illusi (e forse lo siamo ancora) che il QE non avesse costi, anzi. Che aiutasse a comprare tempo, senza effetti collaterali, dando il tempo ai Paesi di coordinare uno stimolo fiscale poderoso. Che non vedo all'orizzonte. 

Nel frattempo, qualche effetto collaterale si registra. La liquidità dei mercati secondari dei titoli si è ridotta (gli Asset sono comprati dalle banche centrali), la liquidità abbondante e i tassi bassi spingono gli investitori a cercare più rischio, con la possibile conseguenza di creare bolle speculative (Corporate Bond nei Paesi emergenti? Il mercato immobiliare in Europa?); ma ancora peggio, si divarica la posizione tra chi non trova lavoro e chi vede il valore dei propri Asset aumentare di valore. E questo in un periodo dove le elezioni non mancheranno (Stati Uniti, Brexit, Francia e Germania) e le tensioni internazionali spingono verso gli estremismi. 

Ancora una volta manca la Politica. La visione della necessità di accelerare verso un'Unione Europea che lasci il governo dei decimali che fa crescere solo i noeurini e si concentri sulla crescita economica e sociale del Continente. 

Io continuo a sperare in un'Europa che sappia rinascere più unita, in un momento di difficoltà che chiama alla coesione sui valori nei quali il nostro continente è fondato.