domenica 6 dicembre 2015

L'Europa che scaccia l'Europa

Alle volte l'Europa sembra non essere consapevole del ruolo che deve giocare nel panorama internazionale. Sembra prigioniera della paura di essere un elemento democratico e liberale nel mondo, un punto di riferimento credibile nel palinsesto che, quotidianamente, va in scena nelle piazze mondiali.

Ecco che allora si discute - ormai in modo inconcludente - della regola del deficit e delle flessibilità legata a improbabili clausole, invece di decidere di seguire politiche economiche coordinate per spingere gli investimenti, specie in R&D, per l'inclusione, per l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Il whatever it takes della politica economica. Se poi questo voglia dire una certa percentuale di indebitamento in rapporto al Pil più alta del numero 3, in Europa e non nei singoli Stati non importa, di fronte alla retorica dei noeurini e alla prospettiva di non essere più in grado di poter giocare un ruolo nel futuro assetto mondiale.

Nel suo incerto futuro, l'Europa si preoccupa di molte cose in modo contrastante, anche al di fuori della finanza pubblica.

Abbiamo bisogno di un'Europa che chiede di intervenire su Ilva a Taranto in un apprezzato ruolo di motivatore di un necessario intervento, ma non si capisce perché la stessa Europa vieta allo Stato italiano di prendersene cura. Ecco che allora nasce il sospetto che l'intervento europeo sia teso a ridurre l'eccesso di produzione in Europa, come ha suggerito Fubini sul Corriere della Sera.

L'Europa ha bisogno di più investimenti. Nasce il Piano Juncker (copia del Piano Barroso di anni prima, pensato quindi in una situazione completamente diversa); deve agire sui fallimenti di mercato. Con una garanzia onerosa (ancora non si sa quanto) e nel rispetto delle regole sugli aiuti di Stato. Ma allora? Siamo o meno in presenza di fallimenti di mercato? Nasce il sospetto che il Piano non nasca per intervenire nei fallimenti di mercato.

Fino a quando non si darà corpo ad un vero Stato federale europeo e si continuerà a parlare di regole e non di policy ho l'impressione che la strada del declino europeo sia inevitabile. 

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