domenica 10 luglio 2016

Il declino dell'Italia ha radici profonde. Il Tempo delle mele è finito.

Corsi e ricorsi storici. La storia non si ripete, ma insegna. Oggi ci troviamo in una situazione simile a quella del secondo dopoguerra. Ma la differenza è abissale. L'Italia del dopoguerra è aiutata a risollevarsi da un grande Piano Marshall e dalla benevolenza Alleata che vede in noi una piattaforma per la sicurezza nel mediterraneo. Oggi siamo chiamati a salvarci da soli. 

I nostri politici sfruttano bene la situazione negli anni '50 e '60 e questo determina un grande sviluppo del nostro Paese, ma anche un grande spreco. Infatti, pensiamo che la benevolenza e i denari altrui non debbano finire mai. È un po' come la sindrome di Peter Pan, non cresciamo. 

La nostra classe politica è immatura perché il Paese è immaturo. Siamo sempre alla ricerca dell'uomo forte, di quello che risolve la situazione, senza che ci si debba impegnare o soffrire per ottenere qualcosa; che poi è un futuro per i nostri figli. Così è stato per Belusconi, che per 20 anni ha incarnato l'uomo della speranza, il "cummenda" in grado di portare libertà e conservazione. Poi è spuntato il nuovo uomo della provvidenza, Monti. Poi Matteo Renzi. Ora il MS5. 

Inutile nasconderlo. La situazione è grave, e non può migliorare se non iniziamo a comportarci da cittadini adulti. Se come Italiani non riconosciamo la circostanza che è finito il "Tempo delle mele" e che abbiamo ormai perso la nostra posizione strategica militare. Rimpiazziati da altri, ma sopratutto incapaci di riconoscere che dovevamo fare una miniera della nostra posizione geografica per: 
  1. il commercio, dovevamo essere il "porto d'Europa" che invece abbiamo lasciato ad Amsterdam. 
  2. il turismo; con oltre il 90% del patrimonio storico artistico del mondo, dovremmo essere la meta più visitata al mondo. Invece è difficile persino raggiungere i luoghi d'interesse per mancanza di infrastrutture adeguate - ricettive e di trasporto -  e di organizzazione. 
  3. Le energie rinnovabili. Il Bel Paese. All'avanguardia nella ricerca per la generazione di energia pulita dalle maree, mai terminata per carenza di fondi. Eppure, quando si cerca di parlare di valutazione della ricerca o di Technology Transfer, si alzano barriere e muri per impedire qualsiasi cambiamento e meritocrazia. 
  4. le città e le università italiane. In lotta perenne per prevalere, invece che puntare sulla specializzazione e sul networking. Come se fossimo ancora in età comunale, con tanto di imperatore che - da lontano - impone e detta regole, come il fiscal compact. 

Questa immaturità la ritroviamo anche nella spesa pubblica e nelle Tax expenditure, cresciute a dismisura, frutto della necessità di una classe politica piccola piccola che ha creato un sistema di mancine per tutti, sotto forma di legge. Altro che interesse generale. Lo stesso se penso al Fondo Strategico, solo di nome, che non ha favorito aggregazioni o rafforzamenti patrimoniali delle nostre imprese. 

Se la nostra classe politica e noi stessi capissimo che siamo in declino e che tra poco il Paese sarà marginale in qualsiasi contesto, non avremmo paura del referendum di ottobre, saremmo presenti nelle aree del mondo dove serve assicurare un'azione di polizia, avremmo onorato la nostra amicizia con gli Stati Uniti senza tentennamenti,  definito una diversa politica economica in Europa,  eliminato " la spesa mancia",  puntato su poche eccellenze e buone infrastrutture, non avremmo abbandonato la politica industriale. 

Forse si può ancora fare, ma da cittadini smettiamo di lamentarci e iniziamo a chiedere unità  nazionale. Insieme si vince. Altrimenti siamo destinati alla povertà e miseria. 

Chi lo dice ai milioni di italiani morti per la nostra libertà? 

domenica 3 luglio 2016

Italia, il colosso d'argilla europeo che può cambiare il corso del destino europeo

Un po' come nell'ultimo film girato da Bogey, la politica italiana sembra costruire nuovi leader con delle combine di palazzo, più o meno casuali. Leader in grado di attirare il popolo italiano, sempre in cerca dell'uomo forte in grado di risolvere la situazione. Leader che viene osannato finché promette, ma quando puoi non mantiene l'impossibile, viene cestinato, deriso, distrutto. 

Ora a Roma già si sente chi non è contento del nuovo sindaco (la sindaca) che non ha neppure iniziato il suo difficile lavoro. Oppure chi, di fronte al fatto che questo governo qualcosa ha fatto, pensa di dilapidare la poca credibilità acquista dal Paese, nel nome di una democrazia dell'alternativa che non c'è. 

Eppure vedete cosa è successo alla Gran Bretagna dopo il referendum frutto di un calcolo politico che avrebbe avuto vincitori e vinti contenti in caso di vittoria del Remain. E invece, dopo la Brexit, il Paese è allo sbando. 

Come dicevo in un precedente post (In Europa manca la fiducia reciproca) così è solo questione di tempo. Ancora pensiamo di risolvere i problemi fuori dal contesto europeo ed internazionale? Pensa veramente Salvini di dare un futuro all'Italia mimando quello che fanno altri politici in Europa? Ovvero uscire dall'Euro? 

Non possiamo certo pensare che popoli divisi da lingua e tradizione, ma uniti dalla moneta possano capire quanto è importante essere uniti e cercare di esserlo ancora di più in futuro? Questo pensano i noeurini e i Salvini. Eppure secondo me i cittadini europei lo capiscono molto più dei politici e dei burocrati europei. Capiscono che soli si perde. Ci vogliono credere in un'Europa unita. 

Non è più il tempo delle divisioni, ma di lanciare un nuovo patto costituente per l'Europa, dove la  solidarietà e non solo la moneta sia la base per lo sviluppo dei rapporti comuni. 

L'Italia può essere il motore di una nuova Europa. Solo se riesce a togliersi il suo provincialismo di dosso e prende una decisone. Essere leader di un'Europa, colosso d'argilla.




sabato 2 luglio 2016

A qualcuno piace caldo.

La situazione che si è venuta a creare dopo la Brexit è paradossale. Da un lato, sembra che il Governo  inglese non ha molta fretta di attivare le procedure di uscita. Farage, invece di dimettersi dal Parlamento europeo, preferisce mantenere la generosa diaria che gli è garantita dall'Europarlamento. Molto più coerenti altri sui colleghi, come Hill, che invece ha lasciato deleghe. Dall'altro canto, i Paesi europei, invece di lavorare per rafforzare l'Europa e correggere gli enormi sbagli commessi in nome del rigore finanziario e delle regole sugli aiuti di Stato, cominciano a prefigurare come attirare l'industria finanziaria che oggi vive allegra a Londra. 
Chi riuscirà nell'intento di portare l'industria finanziaria nel proprio paese, pensa di mettere un sigillo sul controllo del futuro dell'Unione. Così almeno si pensa. Non pensa, che in questo momento occorre collaborare e non cercare di prevalere. 
Intanto i mercati spingono al ribasso tutto, in particolare le banche. L'atmosfera si fa calda. Forse a qualcuno piace così. Una situazione tesa, dove lo spirito della crisi, spinge a emozionali scelte e - forse - errori. 

Eppure le condizioni eccezionali, previste dal Trattato dellUnione, ci sono. Continua a crescere il malcontento per la situazione economica e questo dà spazio a movimenti estremisti ma anche ai noeurini. Juncker è troppo vecchio per capire che la sua Commisisone non sta dando un futuro all'Europa. Merkel, Hollande e Renzi troppo preoccupati delle problematiche politiche interne. Nessuno si ricorda che da soli, i singoli Stati sono un boccone troppo facile nel mondo della globalizzazione. La Spagna, speriamo torni presto sulla scena e magari un po' meno filo tedesca. 

Matteo alza la testa. Non ti pavoneggiare mentre vai agli incontri con Merkel e Hollande. L'Italia ha risorse, uomini e competenze per presentare un documento per il riavvio dei motori europei. Guarda avanti e non pensare al tuo futuro, ma a quello dell'Italia. È il momento di farlo. Non importa se vinci o perdi il referendum se non abbiamo un futuro verso cui andare. 

Se a qualcuno piace caldo, a noi piace concreto. Il futuro. Ovvio. 

domenica 26 giugno 2016

Brexit: istruzioni per il vertice di domani a Berlino.

Molti commentatori oggi si accorgono di quanto detto da questo blog ieri. "C'è chi cerca di differenziare i voti a secondo delle coorti di età o in relazione alla posizione geografica ed infine al grado di istruzione. Ma i voti, in democrazia si contano e non si pesano." (vedi il testo completo del pezzo).

La reazione che domani mi aspetto dal vertice a tre (Germania, Francia e Italia) non deve riguardare solamente gli aspetti numerici dell'attuale situazione Europa ed in particolare i numeri di finanza pubblica. Occorre affrontare in modo serio il tema della disoccupazione e della disuguaglianza crescente che la globalizzazione ha portato all'interno delle nostre società e che si manifesta anche attraverso gli imponenti flussi migratori a cui stiamo assistendo. 

Oggi non servono risposte egoistiche che cerchino di trarre vantaggio dalla situazione che si sta venendo a creare.

I movimenti populisti che stanno crescendo in Europa e nel mondo non sono altro che la manifestazione democratica di un effetto della globalizzazione, che per molto tempo abbiamo rifiutato di riconoscere. All'inizio, quando l'economia sembrava offrire possibilità per tutti, le persone immaginavano di poter avere una fetta, anche piccola, del nuovo benessere che si stava generando a livello macro. Tuttavia, mano a mano che il processo di globalizzazione andava avanti e spingeva giù i prezzi di produzione, la ricchezza e la società si polarizzava, polverizzando la classe media e creando una classe di emarginati economici e sociali sempre più imponente.

Occorre quindi che il vertice di domani dia una risposta concreta a quanti si sentono oggi esclusi dalla società ovvero hanno visto diminuire le proprie prospettive di essere parte di un processo di crescita e di beneficiare del progresso tecnologico e scientifico che caratterizza parte del mondo moderno.

Quali sono i rischi che corriamo se non si affronta in modo strutturale il problema della disparità economica e sociale che la globalizzazione ha creato?
Che i movimenti estremisti che cercano di affermare la propria esistenza negando i vantaggi della globalizzazione e della moneta unica, facendo leva sul malcontento ed illudendo i cittadini di una pronta soluzione dei problemi una volta disgregato l'euro, riescano a distrarre tutti dalla soluzione del problema che passa per una maggiore uguaglianza sociale ed una diversa distribuzione della ricchezza.

Oggi la confusione politica che si è creata in Gran Bretagna a seguito del Brexit può diffondersi nel continente se prevalgono gli interessi nazionalistici in vista delle prossime elezioni di Francia e Germania. Saranno i temi quali la maggiore flessibilità economica e finanziaria degli Stati Membri a dominare le discussioni domani, oppure finalmente si darà avvio ad un vero e proprio piano Marshall per l'economia europea e dei paesi dai quali i flussi migratori provengono? Si deciderà finalmente di accompagnare l'azione della Banca centrale europea con politiche di bilancio? Si inizierà ad utilizzare il bilancio UE per emettere titoli in grado di finanziare missioni economiche e sociali nei paesi dai quali la guerra fa emigrare milioni di persone? Si capirà che le regole sugli aiuti di Stato servono per livellare le disparità e non per crearne delle altre nell'interesse dello sviluppo comune dell'Europa e non dei singoli paesi?

Sono cattolico credente e pregherò perché uno spirito costruttivo e rinnovatore, ispirato ai veri valori della carta europea di Ventotene sia presente all'incontro di domani. 

venerdì 24 giugno 2016

Brexit e futuro europeo. La scossa e la speranza.

Nel post Tutti i nodi vengono al pettine (Vedi) ero sicuro di un Remain che avrebbe dato lo shock all'UE per avviare un processo di riforma. Tuttavia, l'insoddisfazione per un Europa dei burocrati e delle regole è stata determinante. Ha vinto Brexit. C'è chi cerca di differenziare i voti a secondo delle coorti di età o in relazione alla posizione geografica ed infine al grado di istruzione. Ma i voti, in democrazia si contano e non si pesano. 

Il risultato era imprevedibile. Avrà conseguenze imperdibili. 
-  Il Regno Unito dovrà portare avanti due negoziazioni: una sull’uscita, l’altra sulla relazione dopo l’uscita; non sarà semplice gestire la parte su free trade, anche se lo scenario più probabile sarà concordare un free trade agreement sui beni che escluda i servizi finanziari; inoltre il Regno Unito dovrà rinegoziare i trade agreement e la sua posizione con il WTO;
-  Economicamente si apre un periodo di incertezza prolungata e complessa, volatilità dei mercati; probabilmente le imprese cominceranno a lavorare per riorganizzare operazioni, attività, non sarà un processo veloce. La decisione sulla riallocazione prenderà diverso tempo, verrà fatta solo in una situazione di certezza, e in presenza di un vero cluster che crei economie di scala;
-  L’incertezza dei mercati e il possibile effetto contagio sull'economia reale dipendono dal fatto che cambia la visione del mondo. Occorrerà trovare un nuovo equilibrio. E ci sarà un test di questa “nuova normalità”, il che significa che potremmo avere mercati che testano l’imprevedibile, perché l’imprevedibile è effettivamente possibile;
-  Il voto referendario mostra un segno di sfiducia completa verso l’Unione, l’emergere dei populismi ed è anche un segnale politico decisivo rispetto alla globalizzazione e le migrazioni; l’anti-elitismo è una realtà globale che bisogna affrontare.

Sarà questo i piatto forte dell' incontro da Hollande, Merkel e Renzi? Parleranno finalmente di accountability democratica in Europa? 

Ci sono due temi nell'incontro di lunedì: il primo formale. Serve uno statement molto chiaro sulla fiducia nell’UE e nel suo futuro, oltre alla determinazione per portarlo avanti. E’ molto urgente.
Ma c'è un tema di contenuti: serviranno idee chiare e proposte chiare per mostrare con i fatti che questo è un evento one-shot. Sopratutto sarà utile evitare una risposta nazionale, con iniziative che non siano frutto di decisioni comuni. 

Sarà molto difficile per Francia, Germania, Italia accordarsi su un programma chiaro che rafforzi l’Europa ed evitare - ci sono elezioni tra un anno in Germania e Francia - misure competitive nazionali. 

Il centro della accountability democratica oggi è inevitabilmente al livello nazionale, in comunità nazionali, omogenee linguisticamente. Non esisterà in tempi brevi a livello europeo, ed è difficile trovare soluzioni affinché esista. In particolare soluzioni brevi, visti i tempi della vita democratica. L'unica speranza per l'Europa è un Italia che torni a giocare un vero ruolo. Matteo l'hai capito? 

giovedì 16 giugno 2016

Tutti i nodi vengono al pettine. L'Europa ad un bivio.

La costruzione europea si è per molto tempo cullata sui vantaggi della moneta unica. La lunga fase di stagnazione che sta attraversano il mondo e in modo più forte il nostro continente (secular stagnation la chiama qualcuno) ha messo in moto due movimenti di senso opposto. 

Il primo, legato agli europeisti, che pensa di portare avanti l'Unione Europea in modo deciso, dando un corpo democratico a quello che oggi si presenta come una fiorente e complessa burocrazia. 
Il secondo, purtroppo decisamente più ascoltato dai cittadini europei, che vuole la disgregazione dell'Unione e che punta ad interessi particolaristici dei singoli Paesi Membri dell'Unione. Questo secondo movimento fa leva non solo sui movimenti nazionalistici, ma anche sul malcontento delle persone che stanno soffrendo economicamente dalla prolungata crisi. 

Queste due frange di popolazione hanno interesse diversi, in tempi normali. Ma quando manca il lavoro e si vive male, è facile che convergano. I noeurini - come li ha definiti Gustavo Piga - si ergono a tecnici di questo movimento e cercano di dare al tutto una coerenza teorica. 

Ecco allora la Brexit, la messa in discussione di Schengen (Austria), la difficoltà di formare Governi dopo le elezioni (Belgio e Spagna), o a governare (Germania, Olanda, Francia, Italia) date le crescenti difficoltà a dare risposte all'elettorato, sotto l'aspetto della sicurezza e del lavoro. Non parliamo di politica estera, legata ancora ai singoli Paesi, al motto mors tua vita mea. Nessuno sembra capire che i singoli Stati saranno spazzati via da India, Brasile, Cina. 

Molto ritenevano che l'Europa si sarebbe unita sotto la spinta di uno shock. Si sta invece disgregando a seguito di diversi shock e per la mancanza di leader europei di alto profilo. In questo scenario, l'Italia poteva fare molto. Il principale partito di Governo, invece di  essere spaccato, poteva cercare la grande alleanza e governare il Paese e recuperare spazio in un'Europa in cerca di leader. Mi spiace, ma non è leader né la sig.ra Merkel, né il sig Juncker. Tanto meno Renzi od Hollande. Hanno lo stesso problema: sono pieni di se. Si rendono antipatici. Eppure Renzi ha portato avanti molte riforme, ma ha continuato a "mettere le dita negli occhi" dei suoi avversari in un delizioso delirio di onnipotenza fiorentino. O forse nel delirio del potere. 

Di tutto questa situazione di declino, Commissione Europea, Eurogruppo e Parlamento Europeo sembrano non essere al corrente. Subissano di regole fuori dal tempo i Paesi Membri. Fiscal Compact, regole sul sistema finanziario, banche e Aiuti di Stato in primis. Come se la crescita economica e la coesione sociale che ne deriverebbe non siano gli obiettivi di quest'Unione. Continuano business as usual. Juncker troppo vecchio per guidare il cambiamento, Renzi troppo inesperto e borioso per approfittarne. 

Sono sicuro che il "Remain" vincerà la prossima settimana e spero che la paura che UK potesse uscire dall'Unione, convinca gli europei che è giunta l'ora di cambiare. Renzi si faccia promotore di una nuova conferenza di Roma, che lanci l'Europa verso il federalismo. La sua unica via di uscita - e pure quella del nostro Paese- è quella di innovare l'Europa. Altrimenti ci avrà condannato a diventare la periferia del mondo.  

mercoledì 8 giugno 2016

Matteo, le elezioni a questo giro, le ha vinte Silvio. Ora fate vincere l'Italia.

Non leggo nel pensiero del nostro Primo Ministro. Sono certo però che nella sua strategia qualcosa è destinato a cambiare. 

In primis l'atteggiamento. Le cose fatte da questo governo sono impressionanti; si può non concordare con l'ordine delle priorità e con alcune scelte, ma le cose si sono mosse. E tanto. Ma l'atteggiamento personale del Premier non facilita la costruzione di un futuro politico del nostro Paese. Non deve essere sempre "tutto contro tutti" o del "dopo di me il nulla". Si deve saper vincere con classe. Ma anche perdere. Anche perché quando si esce dal confine nazionale, la forza del Paese dipende dalla coesione politica dello stesso. Quando si va fuori, non esiste governo e opposizione, ma il Paese; le polemiche leziose interne vengono amplificate all'estero e non fanno bene alla nostra posizione internazionale. 

La seconda cosa destinata a cambiare sono le alleanze. Per fare le riforme di cui sentiamo il bisogno c'è bisogno di ampia condivisione nel Paese e quindi nel Parlamento. Ma con chi allearsi? Forse, prima di tutto, col proprio partito ed il proprio elettorato. Poi con un personaggio discusso, ma pur sempre senatore della Repubblica e a capo di un partito ancora presente agli elettori. Discutere apertamente delle riforme necessarie e poi approvarle. In modo trasparente. Basta slogan malpancisti, serve dibattito sulle idee. 

La speranza: cambi finalmente modo di fare politica in Italia. Aperta ai cittadini, che guardi al futuro, trasparente. La politica delle idee, insomma, e dei sogni.