sabato 6 giugno 2015

La politica economica non è una scienza esatta, ma...

Il Presidente del Consiglio parla di creare nuovi posti di lavoro. La sua scommessa principale non sono state le riforme strutturali (Job act, riforma della legge elettorale etc.) ma quella di ridare fiducia al Paese. La fiducia aiuta l'economia? Direi di si, ma non basta. 
Occorre una qualificata spesa pubblica per investimenti per dare alle imprese la prospettiva di cui hanno bisogno. Le imprese producono se c'è domanda e quando la domanda privata latita deve entrare quella pubblica. In modo intelligente. Esempio? Vogliamo sbloccare gli investimenti nella banda larga? Vogliamo completare le infrastrutture del Sud d'Italia e puntare sul porto di Napoli e Taranto per il turismo e le merci? 
Servono visione e investimenti. E fiducia 

sabato 25 aprile 2015

Almeno Boeri ci fa discutere di cose serie!

La proposta di un reddito minimo per gli over 55 rivendica lo spazio d’iniziativa dell’INPS e richiama lo spirito di un meccanismo di stabilizzazione automatica, di cui si discuteva a Bruxelles fino a qualche mese fa. Nel corso del suo mandato, l’ex Commissario Laslzo Andor ha promosso l’introduzione di un sistema di ammortizzatori sociali a livello europeo, che prevedeva la condivisione dei costi di assicurazione a fronte dei rischiderivanti dai picchi di disoccupazione a seguito di uno shock. Uno schema di disoccupazione capace quindi di sostenere la domanda in fasi di rallentamento economico e di contenere anche il possibile effetto contagio
Il dibattito, attualmente fermo, si era concentrato attorno alla proposta di un’indennità pari al 50% della media degli ultimi stipendi, versata per un anno al massimo dall’inizio del periodo di disoccupazione, a favore di quanti avessero contribuito allo schema consecutivamente per i due anni precedenti. Nessun target di età esplicito quindi, dato che lo strumento era pensato per sostenere chi aveva perso il lavoro ma aveva avuto comunque tempo (ed anzianità) sufficiente per alimentare il piano. Il sussidio mirava infatti ad ammortizzare la disoccupazione addizionale e non quella strutturale, derivante da una variazione dell’equilibrio economico generale di un Paese.  A livello europeo il meccanismo sarebbe stato implementato in via preventiva e non avrebbe avuto un impatto immediato sugli attuali livelli di disoccupazione. 
L’iniziativa di Boeri traduce in chiave italiana la filosofia del meccanismo europeo, ma con due significative differenze. Innanzitutto è indirizzata a una fascia precisa, che comprende i lavoratori tra i 55 ed i 65 anni. Secondo quanto dichiarato dallo stesso Presidente, questa fascia si è significativamente impoverita a seguito della crisi solo nel 10% dei casi riesce a reimpiegarsi. In secondo luogo, la misura verrebbe attuata in una logica ex post, e non ex ante, mirando ad ottenere un’efficacia immediata.
L’aumento dell’occupazione per questa stessa fascia di età, registrato durante la crisi, è solo in apparente contraddizione con la proposta. Come spiega la nota del Centro Studi Confindustria pubblicata a gennaio di quest’anno, si tratta infatti di una tendenza riconducibile a effetti di composizione (un insieme di cambiamenti nell’approccio al mercato del lavoro, dovuti alla maggiore istruzione dei lavoratori e a una partecipazione più attiva delle donne) e all’entrata in vigore delle nuove norme sul pensionamento, che di fatto hanno allungato la vita lavorativa. È un andamento comune a diversi paesi in Europa ed in Italia si è evidenziato in maniera più marcata.
Non c’è poi un effetto di compensazione tra le generazioni, anzi, a livello internazionale si verifica una correlazione positiva tra l’incremento dell’occupazione dei più anziani ed il corrispondente per i più giovani. Se questo però è valido nel lungo periodo, nel breve si riduce comunque il turn-over ed aumenta la protezione degli over 55, con qualche evidente penalizzazione. 
Questo non può essere comunque il presupposto di una critica fondata allo strumento, che non mira a spostare risorse da una fascia all’altra, quanto piuttosto a ripristinare un equilibrio lì dove è venuto meno. L’elevata disoccupazione giovanile è determinata da cause strutturali, oltre che congiunturali, e per questo richiede interventi diversi. Il Governo ha già dato una prima risposta, ma bisognerà aspettare i prossimi mesi per valutare l’efficacia del Jobs Act.
Anche se diversa da quella avanzata in sede europea, la proposta di Boeri rischia di incontrare gli stessi ostacoli. A Bruxelles molti Paesi hanno rivendicato la necessità di interventi urgenti per i giovani e per la situazione immediata. Mancava poi il consenso politico sulle questioni finanziarie. 
Non ci sono per ora dettagli sufficienti per stabilire la portata economica e il grado di copertura richiesto dalla misura. Certo, richiederebbe un cambiamento di rotta dell’Esecutivo, che non prevede ulteriori interventi sulle pensioni. Non c’è bisogno però di entrare nel merito per sostenere (e condividere) la logica anticiclica della proposta.

sabato 11 aprile 2015

Cosa vorrei trovare nel DEF infrastrutture

In Italia partiamo sempre dalla fine. Parliamo di come finanziare le opere senza chiederci quali infrastrutture servono per garantire un futuro al Paese e di qual'è l'interesse pubblico che deve essere perseguito o tutelato. 

Occorre scardinare le metodologie di lavoro seguite sin qui e lavorare per favorire l'iniziativa privata in grado di realizzare una crescita virtuosa dell'economia. 

Partiamo dall'inizio. Non serve improvvisazione, né di stereotipi di sviluppo o di totem da utilizzare per fini elettorali. La politica deve avere il primato della scelta, della visione di quello che necessita al Paese. Questo processo (quello della scelta) ha un suo percorso democratico (elezioni e consultazioni via web se volete) ed ha necessità di coerenza nel tempo. In altre parole: se sia celglie bene e democraticamente le opere sono utili e vanno avanti indipendentemente dal colore del governo. 

Si possono creare gravi danni al territorio se nei processi di identificazione delle priorità non si valutano costi e benefici degli interventi, se non viene tenuto presente l'ambiente socio economico nel quale si opera, ma sopratutto se non si tiene fermo l'obiettivo e lo si realizza in tempi ragionevoli. 

Identificate le priorità, si passa all'attuazione. E qui si deve coinvolgere il settore privato. E questo non per i vincoli di bilancio che spesso vengono invocati come motivazione per coinvolgerlo, ma perché solo con un corretto partenariato tra il settore pubblico e quello privato si può ottenere uno sviluppo (grazie all'imprenditorialità privata) virtuoso (grazie al controllo pubblico delle finalità dell'intervento del privato ed al suo continuo monitoraggio).

Affinché il partenariato sia corretto, occorre un'elevata preparazione dell'Amministrazione pubblica, in modo che possa ottenere un'allocazione efficiente e corretta dei rischi. L'elevata preparazione serve per non avere un'asimmetria di conoscenze tra il privato, che può disporre delle più aggiornate competenze (le compra al bisogno) e il pubblico che spesso non può ricorrere alla consulenza (che parolaccia!) e non ha una formazione ed un aggiornamento costante. L'elevata preparazione consente all'amministrazione di capire gli interessi in gioco e di regolarli, con trasparenza, in modo da raggiungere l'interesse della collettività. Di qui l'importanza citata all'inizio di chiarire le priorità e l'interesse pubblico da perseguire. 

Non è questione di etica, ma di funzioni obiettivo. Il privato si attrezza e spende per ottenere la massimizzazione del profitto. L'Amministrazione non ha invece i mezzi per massimizzare gli interessi pubblici. 

Spero che nel Def ci sia un qualche segnale di programmazione e di spinta verso una amministrazione più formata. 


lunedì 6 aprile 2015

Riflessioni, sentimenti e speranza

Questo fine settimana di Pasqua ci ha portato molto tempo per leggere e riflettere. Spero che tutti abbiamo avuto modo di stare in compagnia e di rilassarsi, per essere pronti a riprendere a lottare, da domani, nella vita quotidiana. 

Passeggiando per l'Italia ho visto molti turisti, molte persone anziane, molti ragazzi pieni di voglia di vivere, molti volontari intenti a curare le visite ai nostri beni culturali, ma anche molta sporcizia per le strade, molte persone senza casa, molte buche nelle strade.
Luci ed ombre di un Paese in declino, aggrappato alla sua storia, che però pare non averle insegnato nulla. 

La storia ci ha insegnato che tutto cambia grazie alle forze presenti nella nostra società, che oggi non hanno confini predefiniti. Che tutto cambia grazie alla nostra innata natura di cercatori, di inventori, di persone impavide. Pensate a Marco Polo. O alle Legioni Romane. O a Michelangelo. In tutti troverete forza, entusiasmo, voglia di vincere la paura, voglia di scoprire e non rimanere chiusi nella loro quotidianità. Voglia di fare. I grandi condottieri, i grandi imprenditori, i grandi politici, i grandi di ogni tempo si sono affermati per aver seguito una loro intuizione, un loro sogno. Tanto impegno, poca paura. 

Qual e' oggi il nostro sogno?
Il mio? Vorrei avere la libertà di agire e fare scelte, che vivendo in una società globale, derivano dalle possibilità e dalle norme che regolano il vivere del mondo globale. A cui noi non siamo abituati. Anche se, rileggendo la nostra Costituzione, capisci che chi scrisse quel testo era molto più avanti di noi. Molto più lungimirante. Aveva molta meno pausa di osare. 

Oggi le regole del mondo globale non danno molto tempo per pensare a come realizzare un'idea, si deve poterla realizzare e basta. Sempre nel rispetto delle regole certo, ma ricordando che spesso le regole vengono riscritte a fronte di un desiderio di cambiamento della società. Com'è stato nel caso della rivoluzione americana, quella francese, ma anche dopo il lancio di Google e Wikipedia. O come nel caso del lancio degli smartphone, che hanno rivoluzionato la nostra vita in modo lecito e veloce. 

La storia si scrive cambiando, non attuando decreti. Il nostro Paese sono anni che parla di banda larga, ultralarga e produce studi ed analisi su come realizzarla. Intanto la connessione a internet, base della nuova democrazia, fonte di sviluppo e di crescita, consente ad altri di andare avanti, progettando nuove soluzioni. Noi, cullandoci di un passato che se potesse ci ripudierebbe, ci culliamo nella discussione. 

Noi meritiamo di più.

domenica 15 marzo 2015

L'alternativa di Varoufakis, Mazzuccato e Pisani-Ferry al Piano Juncker

«Immagino una forma alternativa di Quantitative Easing, finanziato al 100% da obbligazioni della Banca Europea degli Investimenti: la BCE potrebbe comprare questi bond sui mercati secondari. Mi piacerebbe chiamarlo Piano Merkel». Questa, la proposta lanciata ieri dal ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis, al meeting Ambrosetti di Cernobbio. «La Bei può chiedere ai governi di guidare un programma per la ripresa degli investimenti. Finanziato al 100% da obbligazioni emesse dalla Banca degli investimenti con la BCE.», dice tra l'altro il ministro al Forum.
Ma quanto emerso ieri ad Ambrosetti potrebbe andare più in la, se combinassimo quanto emerso nei due giorni di lavori, in particolare se mettessimo insieme alla proposta del Ministro greco, le idee della prof. Mazzuccato e del prof. Pisani-Ferry. 
Quello che serve all'Europa in un momento di "crisi da bilancio", dove tutti contemporaneamente riducono l'esposizione debitoria, è un po' di sana spesa pubblica a leva. Sana, perché dovrebbe essere per politiche di convergenza (come richiesto da Pisani-Ferry). Finanziata in parte con i fondi strutturali che dovrebbero essere però utilizzati in modo più flessibile (Pisani) ed in parte con fondi presi a prestito dal mercato, o come propone il prof. Varoufakis tramite emissioni della Bei acquistate dalla ECB. 
Non possiamo pensare che siano solo gli investimenti privati che debbono rialzare la testa Come propone il Piano Juncker, ma servono interventi pubblici in quei settori nei quali oggi il privato non entra (Keynes-Mazzuccato) ed investimenti in infrastrutture e politiche di convergenza. 
Manca ancora un pezzo: gli investimenti dovrebbero esser effettuati per l'Europa e non per i singoli Paesi, meglio se da strutture esistenti che mettono a disposizione i risultati alle imprese europee ovvero infrastrutture di connessione dell'Europa. 
Manca solo un Governo Europeo che, guardando agli interessi comuni, attui questa strategia. 

domenica 1 marzo 2015

Pa: rinnovamento dei processi e meno norme


Occorre un progetto serio per cambiare il modello di funzionamento della PA attraverso:

  • la completa revisione dei processi amministrativi, che recepisca al massimo le potenzialità delle nuove tecnologie informatiche; la riforma non parte dalle norme, ma dalla necessità di rivedere i processi di lavoro dell'Amministrazione, nell'ottica di favorire cittadini e imprese;
  • la riduzione “drastica” dei margini di “discrezionalità” nei processi decisionali della PA. Questo al fine di assicurare il rispetto dei tempi, l’omogeneità formale ed etica (anticorruzione) delle decisioni assunte dalla PA nei confronti dei cittadini e delle imprese.


Punto di partenza: al’innovazione organizzativa e di processo, consentirebbero la ridefinizione dei confini dell’intervento pubblico, creando le condizioni per un “nuovo” modello di Pubblica Amministrazione. Dopo lo studio dei processi, si valuterà come cambiare le norme. Oggi partiamo dalle norme, senza aver chiaro obiettivi e strumenti. L'informatica da oggi delle possibilità enormi, sconosciute in passato. Il ritardo tecnologico organizzativo della PA (e le carenze infrastrutturali, come il ritardo sulla banda larga) pesano sullo sviluppo del Paese. 

La riorganizzazione del modello di funzionamento e di erogazione dei servizi pubblici assicurerà livelli di servizio più elevati o in linea con quelli attuali, ma a costi più bassi. Sarà, infatti, necessario un minor numero di impiegati nel settore pubblico per assicurare gli stessi servizi, grazie alla minore discrezionalità dei processi amministrativi. È la minore discrezionalità è un forte antidoto per la corruzione e l'inefficienza.  Sarebbe una risposta concreta al bisogno del Paese ed un esempio per gli altri paesi dell’UE che intendono contribuire, attraverso un miglioramento della Spesa Pubblica, al rafforzamento dell’Economia Europea.





domenica 22 febbraio 2015

Perché il Piano Juncker non basterà al rilancio dell'economia


Se guardo a come e' stato costruito il Cd Piano Juncker devo ritenere che Mr. J e chi lo ha aiutato a scrivere il Piano ha lavorato poco e male. 
In primis, non la redazione del Piano non è partita dall'analisi di quello che i Paesi ritengono di aver bisogno, ma dall'idea su cui era basato il Piano Barroso, legato prevalentemente agli investimenti privati.
Eppure era iniziato tutto molto bene, con la richiesta agli Stati membri di proporre i progetti, di matrice europea, che potevano essere cantierabili nel triennio 2015 - 2017. Le poche indicazioni pervenute lasciavano pensare che ci sarebbe stata una fase di analisi dei fabbisogni espressi e una di identificazione degli strumenti e delle risorse per comporre un Piano di investimento. 
Dall'analisi dei progetti presentati sarebbe emerso che ci sono iniziative di livello europeo e progetti nazionali, cui l'Europa dovrebbe essere interessata. Che servono investimenti pubblici, nazionali e comunitari per alcuni di essi, essendo tipici progetti che il settore privato non è interessato a realizzare, ma che sono abilitanti per attrarre gli investimenti privati. Altri progetti sarebbero stati forse esclusi dal Piano, magari per carenze di progettazione o di analisi.
Invece, nulla di tutto questo è' avvenuto. I progetti presentati dagli Stati Membri non sono stati analizzati per capire di cosa veramente hanno bisogno, e il Piano Juncker è stato pubblicato con pochi dettagli e molti interrogativi. Si baserà su un sistema di garanzie che hanno lo scopo di consentire il finanziamento di progetti privati, anche col supporto finanziario degli stessi Stati Membri. Forse sarà operativo nel 2016. 
Parallelamente, è stata partorita una striminzita clausola di flessibilità che non consentirà di soddisfare le necessità dei Paesi Membri. Forse era meglio analizzare i progetti presentati, passare per un processo analitico e poi un "via libera" a non contabilizzare tali investimenti nel deficit. Avremmo potuto investire nella sicurezza delle scuole e del territorio, nelle case sociali, nelle carceri. È molto altro. 
Si poteva fare di più è meglio. Abbiamo bisogno di un'Europa creativa e meno legata allo spauracchio del 3%, perché abbiamo diritto ad un futuro di crescita solidale.